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Don Antonio della Lucia, il prete degli ultimi che inventò la latteria sociale nelle terre di papa Luciani


Chi lo conobbe lo descrisse come una persona mite, quasi timida, ma in grado di trasformarsi quando si trattava di combattere un'ingiustizia o una prepotenza: in quei casi si infiammava di una fiera energia e la “sua parola era forte e severa” anche in chiesa. Già, perché questo animo nobile votato alla giustizia e vicino ai poveri era un sacerdote, don Antonio Della Lucia, nato 200 anni fa in provincia di Belluno.

Un anniversario che il Musal (Museo Albino Luciani) di Canale d'Agordo (Belluno) si appresta a celebrare con una fitta e articolata serie di appuntamenti (per il programma completo consultare il sito del museo www.musal.it).

«Sarà un'occasione molto importante per ricordare degnamente questo sacerdote così importante non solo per il nostro territorio, ma per la storia della Chiesa nel suo rapporto con la gente. Un rapporto fatto di aiuto concreto e lungimiranza», spiega Loris Serafini che, oltre ad essere il direttore del museo dedicato al beato papa Giovanni Paolo I, è anche l'autore di una biografia di don Della Lucia. E proprio nel suo libro emerge appieno la personalità eclettica e piena di vita di questo sacerdote nato a Frassené Agordino, (Belluno) il 16 maggio 1824, terzogenito di sei fratelli. I genitori, Giuseppe e Teresa Soccol, trascorrevano buona parte dell'anno a Venezia, impegnati nel settore della cioccolataeria.

Un lavoro che alla famiglia Della Lucia era appena sufficiente per mantenersi: fu solo grazie alla solidarietà dei compaesani riuniti nel Capitolo di Venezia (una confraternita che riuniva gli originari di Frassené nella città lagunare) che Antonio riuscì a frequentare l'Istituto di Santa Caterina ( oggi Liceo Foscarini) a Venezia, dove completò il ginnasio e il liceo. Spinto dalla vocazione si iscrisse al seminario di Belluno e venne ordinato sacerdote il 23 settembre 1849, dopo aver operato attivamente ai moti risorgimentali del 1848.

Don Della Lucia, infatti, era un fervente patriota e non lo nascondeva, anche da sacerdote: «Si mise in una posizione politica compromettente con l'Austria, che iniziò a ricercarlo nel 1866 – sottolinea Serafini – Fuggito temporaneamente in Toscana, fece ritorno a Canale con l'annessione del Veneto allo stato italiano».

Ed è proprio nella nuova nazione, nell'appena nata Italia, che don Della Lucia si spese per aiutare i bisognosi, i più poveri, coloro ai quali spesso anche la Chiesa voltava le spalle. Divenuto parroco dell'arcipretura di Canale d'Agordo (Belluno) nel 1860, non dimenticò mai la povertà della sua famiglia e l'indispensabile solidarietà che gli permisero di studiare. Già nel 1868, infatti, aprì a proprie spese e mantenne personalmente per molti anni un asilo infantile rurale a Forno di Canale, il primo rurale della provincia di Belluno.

Tre anni dopo fu la volta di una cooperativa di generi alimentari a Caviola, mentre nel 1872 fondò la Società di Mutuo Soccorso di Carfon e la prima latteria cooperativa d'Italia a Forno di Canale. «Le cooperative del latte, da lui incoraggiate, furono riunite, sempre su suo suggerimento, in una Federazione Agordina a partire dal 1887federazione di cui egli fu il presidente fino alla fine del secolo XIX», ricorda Serafini.

Inarrestabile, costituì anche tre biblioteche popolari nella sua vasta parrocchia: così, dal 1878, a Forno di Canale, Vallada e Caviola, entrarono in funzione le cosiddette biblioteche “circolanti”, perché pare che i libri venissero portati di casa in casa per incitare la gente a leggere. Ebbe poi molto a cuore i numerosi parrocchiani costretti ad emigrare in cerca di un futuro: se l'aiuto non era sufficiente a scongiurare la partenza, si adoperava affinché essi potessero trovare la migliore accoglienza nella nuova patria, tenendo una fitta corrispondenza con i parrocchiani emigrati .

Don Della Lucia si impegnò poi in prima persona per l'emancipazione femminile, come si evince da uno dei suoi scritti datato 1870: “Noi uomini sovente potremmo prendere esempio di moralità e di abnegazione nella donna, e qualche volta anche lezioni di economia e di amministrazione […] Tutti quelli che credono nell'eguaglianza naturale della donna dovrebbero unirsi, onde chiedere al Parlamento la riforma delle restrizioni sancite dai legislatori, e sostituire agli articoli del Codice Patrio, quelli altri che figurano nel primo progetto di Codice, nei quali non v'ha alcuna restrizione speciale alla capacità giuridica delle donne. A tutti deve star a cuore, molto più dell'elettorato, una tale riforma perché tutti abbiamo o una madre, o una moglie, o una sorella, od una figlia che attende la sua emancipazione”.

«Per i suoi alti meriti, nel 1878 il re Vittorio Emanuele II lo nominò Cavaliere della Corona – sottolinea Loris Serafini – e nel 1894 il Ministero dell'Agricoltura lo nominò membro del Consiglio Superiore dell'Agricoltura, unico sacerdote su cinquanta componenti». Nel 1898 concluse la sua esperienza di parroco: ritiratosi a Caviola in qualità di mansionario, morì il 23 aprile 1906. Aveva fatto testamento in favore di vari nipoti e delle parrocchie di Canale d'Agordo, San Tomaso e Frassené. Fu sepolto nel cimitero di Canale d'Agordo – dove tuttora riposa – il 26 aprile 1906.





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