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«Un’escalation sarebbe una sciagura ma la Terra Santa non sarà più la stessa di prima»


«Sono molto preoccupato dopo l'attacco dell'Iran ad Israele perché dal 7 ottobre scorso la situazione in Terra Santa è diventata molto difficile per moltissime famiglie. Il mio auspicio è che quest'attacco non sia il pretesto per un'altra escalation che sarebbe terrificante per tutti in una regione così tormentata quale il Medio Oriente in questo frangente drammatico».

I l cardinale Fernando Filoni, Gran Maestro dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e Prefetto emerito della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, conosce bene la regione del Medio Oriente avendo alle spalle una lunga carriera diplomatica in quei territori. È stato Nunzio apostolico in Giordania e in Iraq dal 2001 e dal 2006 vivendo gli ultimi due anni del regime di Saddam Hussein e la guerra scatenata dagli Stati Uniti che ha portato alla rovesciamento del regime ea un dopoguerra precario e crudele.

«Lunedì 15 aprile», spiega Filoni, «il cardinale Pizzaballa (Patriarca latino di Gerusalemme, ndr) era atteso a Roma per prendere possesso della chiesa di sant'Onofrio legata all'Ordine Equestre del Santo Sepolcro ma abbiamo dovuto annullare tutto perché egli ha preferito restare a Gerusalemme e stare vicino alla sua gente in questo momento delicato, l'ennesimo di questo periodo. Da Gran Priore dell'Ordine del Santo Sepolcro, Pizzaballa avrebbe dovuto parlare della situazione attuale in Medio Oriente e delle prospettive».

Sulla situazione attuale il cardinale Filoni è cauto: «Nella mia esperienza, quando si rompono certi equilibri come è accaduto in Terra Santa è che bisogna aspettarsi anche l'imprevedibile. È successo in Iraq, in Siria. Noi oggi non possiamo pensare che la Terra Santa sarà più la stessa come prima, ma bisogna lavorare per fare in modo che ci siano nuovi equilibri i quali, però, se non sono fondati sulla fiducia, sulla correttezza e sul rispetto di tutte le parti saranno il principio di nuovi drammi e sofferenze. Dobbiamo augurarci e lavorare anche dal punto di vista diplomatico affinché non si ritorni un passato fatto di attacchi, prepotenze e violenze».

Il ruolo dei cristiani in questo momento è quello di pregare: «Non solo siamo umanamente e spiritualmente vicini alla chiesa di Gerusalemme ma sappiamo bene che la Terra Santa priva di pellegrini rischia di diventare estranea a tutti», spiega il cardinale, «e soprattutto dobbiamo continuare a pregare per la pace e la riconciliazione, anche se a volte la nostra preghiera sembra essere inascoltata. Intanto dobbiamo dire che la preghiera non si fa perché Dio ascolti meccanicamente ciò che noi chiediamo ma perché noi sappiamo di levare un grido a Lui il quale non è indifferente. Sappiamo anche che la preghiera ha una dimensione verticale, l'invocazione a Dio, appunto, ma anche una dimensione sociale perché servire ad aiutarci a capire che se ci manca, perdiamo il diritto alla parola, allo stare insieme, noi perdiamo il contatto con la realtà soprannaturale. La preghiera non è una magia che risolve immediatamente quello che noi chiediamo ma scava la roccia, anche quella più dura».





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