L'Iran vuole che non ci sentiamo sicuri nelle nostre case. Ma la minaccia maggiore, al Nord, è Hezbollah
“La minaccia di Hezbollah è a pochi chilometri da qui, la sfida è riportare le persone alle loro case, alla normalità. Ma non vogliamo essere massacrati come i nostri fratelli e le nostre sorelle nel Sud”. A dirlo è Sarit Zehavi un tenente colonnello che ha servito per 15 anni nell'esercito israeliano. Ora è fondatrice e presidente di “Alma”, un centro di ricerca no-profit che si occupa delle sfide di sicurezza che lo Stato ebraico deve affrontare al suo confine Nord. “Alma” ha pubblicato diversi report su Hezbollah e l'asse sciita in Libano e Siria. Zehavi ci risponde al telefono dal Nord di Israele.
Qual è la situazione ora lì da lei?
“La stessa dei sei mesi passati, 60 mila persone sono state evacuate, 43 comunità sono vuote, abbiamo attacchi di Hezbollah tutti i giorni, missili, razzi, hanno usato ogni tipo di arma, e il sistema antimissile Iron Dome non intercettare tutto. Prepararsi alla minaccia dell'Iran è in un certo senso più semplice perché il Paese è più lontano. Qui invece con Hezbollah abbiamo zero tempo a disposizione È dall'altra parte del confine”.
Vi aspettate un attacco più massiccio da parte di Hezbollah ora?
“L'Iran ha detto chiaramente che la faccenda è chiusa. Qui è diverso perché Hezbollah potrebbe ancora minacciare ed è nostro compito riportare le persone alle loro case. Sette civili sono stati ammazzati, 11 soldati sono morti e molti sono i feriti”.
Israele ha obiettivi strategici in questa zona del Paese?
“Riportare le persone salve nelle loro case e per fare ciò bisogna ristabilire la sicurezza qui. Hezbollah ha intensificato i suoi attacchi dopo il 7 ottobre. Per la gente che vive nel Nord di Israele è molto importante che questa minaccia venga eliminata. Non vogliamo essere Massacrati come i nostri fratelli e le nostre sorelle nel Sud. Questa è la sfida L'Iran invece vuole che persista questa situazione, ovvero che non ci sentiamo sicuri nelle nostre case”.
Quali potrebbero essere gli scenari?
“Il cessate il fuoco non può essere la soluzione, la missione Onu in Libano non basta, non è efficace perché per esserlo devi poter combattere contro Hezbollah. Una guerra con il Partito di Dio è realistica ma Israele vuole evitare questo. La gente che vive qui nel Nord è molto spaventata da questo scenario. Il cessate il fuoco non risolve il problema C'è solo una finta calma per un periodo molto breve”.
Come vivono gli israeliani nel Nord dello Stato ebraico?
“Nelle comunità evacuate non c'è più un israeliano che vive, poche persone sono ritornate alle loro case. Molte città sono vuote e queste sono di solito a zero o cinque chilometri dal confine. Io vivo a nove chilometri dal confine, per esempio. La vita è regolare, ma non è una vita normale. Perché l'attacco dell'Iran contro Israele ha creato paura soprattutto a chi ha bambini della guerra, ho sentito tutto quello che stava accadendo, le esplosioni Non è un modo normale di vivere”.
Qual è lo stato d'animo degli abitanti?
“Loro vogliono la pace e il cessate il fuoco non è una pace. Non disarmare Hezbollah non è pace. La paura, certo, è il sentimento di base degli israeliani dopo il 7 ottobre. Siamo tristi, vogliamo vedere i nostri ostaggi tornare indietro. E vorremmo che la comunità internazionale stesse al fianco di Israele nella sua battaglia contro il terrorismo. Vorrei che tutti capissero, dopo quello che è accaduto negli ultimi giorni, che questa non è una guerra tra Hamas e Israele, ma è una battaglia contro l' ideologia estremista dell'Iran. E tutti nel mondo dovrebbero supportarci e dare assistenza”.
Che cosa dovrebbe fare ora il governo e Netanyahu?
“Questa è una grande domanda. Israele dovrà cercare la legittimità nella comunità internazionale. Certo, lo Stato ebraico tiene conto della posizione degli Stati Uniti, perché vogliamo loro dalla nostra parte. Sono passati diversi mesi e ancora non siamo entrati a Rafah per portare indietro gli ostaggi Ed è ormai chiaro che Hamas non è interessato a un accordo Noi vorremmo quindi che la comunità internazionale stesse al nostro fianco quando attaccheremo Rafah per riportare a casa i rapiti.
Non si può più aspettare, loro non possono più aspettare”.