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Rondine, dove un mondo di pace diventa possibile



Una giornata a Rondine è una boccata di ossigeno. Per non soffocare sotto il peso dell'impotenza guardando ai tanti conflitti disseminati nel mondo, all'odio che serpeggia anche in casa nostra, ai grandi mali del pianeta. In questo borgo adagiato sulle colline aretine si pratica «il passo possibile», si ricostruisce la fiducia, si coltivano le relazioni. Il sogno di Franco Vaccari, fondatore e presidente, è partito da lontano, dai rapporti intessuti con Raissa Gorbaciova fin dal 1988. Quando poi scoppia il conflitto ceceno, Rondine viene chiamata a mediare per il primo cessate il fuoco. Una tregua fragile che dura dal 30 maggio al primo giugno 1995. «Non potevamo fare nulla se non salvare qualcuno. La Cecenia ci chiede di prendere con noi alcuni giovani. Lo facciamo, ma a patto che ci siano anche dei russi», ricorda Vaccari. Arrivano in Italia «cinque ragazzi coraggiosi e incoscienti, tre ceceni e due russi. Rondine nasce così, nel Caucaso, possiamo dire. Ma nasce anche attorno a una lavatrice». Il fondatore spiega il primo approccio dei cinque tra di loro: «Si rifiutavano di lavare la loro biancheria intima nella stessa lavatrice. Ne volevano causa separata. Dissi di no. I ceceni minacciarono, e poi lo fecero, di andarsene. Ne arriveranno altri. Sembra una cosa da poco e, invece, è importante. Lavare insieme il proprio sporco richiede un atto di fiducia nell'altro. Anche dalle mutande e dai pubblicati lavati insieme parte la relazione».

E oggi che Rondine Cittadella della pace vanta oltre 5.800 beneficiari diretti tra studenti, docenti, manager, operatori e tecnici professionali e oltre un milione di beneficiari indiretti considerando le famiglie e tutti coloro che sono stati coinvolti dai progetti che gli stessi studenti hanno realizzato, il sogno non si ferma. Le ultime guerre messe hanno a dura prova l'associazione, «ma abbiamo capito che, proprio per questo, c'è bisogno di non perdere la fiducia, ricordando che il nostro obiettivo non è di creare un'utopia o di raggiungere la pace, ma di affrontare il conflitto». La fiducia, spiega ancora Vaccari, «crea ponti invisibili che ci permettono di costruire, attraverso il “nonostante”. Questi sono giovani che sono qui “nonostante”…».

Un lavoro che si fa innanzitutto su sé stessi. «Ero piena di odio, di rabbia, di rancore», racconta Kateryna. Il 24 febbraio del 2022 era a Kyiv, con la sua famiglia, quando la Russia ha invaso il suo Paese. Aveva già fatto la richiesta per fare l'esperienza nello Studentato internazionale di Rondine. Il padre incoraggia lei e sua madre a partire. «Mia mamma va a Parigi da mia sorella, io vengo qui», ricorda. Il primo impatto è durissimo: «Ho visto i ragazzi russi e ho avuto paura». Incontra Sabina, la saluta con un ciao in inglese. «Conosco il russo perfettamente, ma per me, allora, era la lingua del nemico». Solo dopo tempo, «e facendo prima un lavoro interiore», torna a usare il russo, «perché mi rendo conto che è parte dell'identità di quella che è diventata la mia migliore amica. Non è la lingua dell'invasore, è quella della mia compagna». Sabina la guarda quasi con timidezza. «Ho aspettato che fosse lei a fare un passo in avanti. Non volevo imporre la mia presenza, mi sarebbe sembrata un'altra violenza». In Russia Sabina si occupava di immigrati, «che è quello che vorrei tornare a fare». Si allontanano insieme, abbracciate. «Quello che è difficile da superare», aggiunge Sharizan, ex studentessa di Rondine che viene dall'Abcasia, «è il senso di tradimento. Quando sono arrivato e ho incontrato un ragazzo della Georgia, Paese con il quale siamo stati in guerra e con il quale ora c'è un conflitto in sospeso, mi sono chiesta: “Se non odio non sono abcasa?”. Ci ho messo un po' di tempo per capire che non devo essere d'accordo con l'altro per amarlo». Adesso tiene laboratori di formazione al metodo Rondine. Si arriva all'incontro con l'altro attraverso il silenzio e il movimento.

Perdite, dolore, sofferenze che i ventiquattro studenti internazionali affrontano «abitando il conflitto», abbandonando l'indifferenza. Non a caso in costruzione c'è l'arena di Janin, un omaggio a Liliana Segre, che qui ha dato la sua ultima testimonianza pubblica. Janin era una ragazzina come lei, internata nei campi di concentramento e mandata a morire perché aveva due falangi della mano rotte. Liliana si porta dietro il senso di colpa di non averla salutata, di non aver neppure pronunciato il suo nome. L'arena diventa uno spazio dedicato alla memoria e al riconoscimento dell'altro. «Ho imparato che si può parlare con chi sta dall'altra parte», aggiunge Jean Theodore, del Mali. «Ho vissuto con un ragazzo dell'etnia con la quale stavamo combattendo e siamo diventati amici».

Un sogno possibile grazie a un metodo che costruisce le relazioni attraversando il conflitto. E che ha bisogno di silenzio. A volte di lacrime. E lacrime ne sono scorse a fiumi quando lo scorso 7 ottobre è arrivata la notizia del massacro in Israele. Continuano a scorrere per le migliaia di morti palestinesi. Qui, dove studiano giovani di entrambe le parti in conflitto, si cerca di mantenere un filo di speranza. «Ho fatto gli auguri per il compleanno a un mio amico ebreo, tra qualche giorno ci vedremo per mangiare qualcosa insieme», dice Loai. Dalla Palestina, dove stava facendo la guida turistica, è tornato in Italia. «Sono stato il primo palestinese, molti anni fa, a studiare a Rondine», racconta. «Non riuscivo a credere che potesse essere vero il massacro del 7 ottobre e oggi sono addolorato per tutte le morti a Gaza. Il mondo non riesce a intervenire per fermare la guerra. A livello personale, però, cerchiamo di preservare le relazioni. Una piccolissima luce».

Silenzio per custodire una fiammella fragile, ma importante perché, aggiunge l'israeliano Noam, responsabile del progetto “IV anno”, che porta a Rondine per un anno studenti italiani delle superiori, «il nostro obiettivo non è un accordo formale di pace. Prima o poi le armi taceranno. Dobbiamo preparare il terreno per il giorno dopo. Essere pronti a ricostruire fiducia, relazioni, tessuto sociale. Questo è il nostro compito».

Vieni in aiuto

I giovani di Rondine provengono da Paesi in conflitto armato e sono beneficiari di borse di studio che coprono l'intero percorso formativo della durata di due anni. Il 24 aprile, con un evento promosso dal Comune di Firenze, e di cui Famiglia Cristiana è media partner, sarà lanciata la campagna di raccolta fondi “Il vero nemico è la guerra”. L'obiettivo è quello di poter mettere a disposizione dei giovani almeno altre due borse di studio. La mattinata vedrà, per la prima volta insieme dal 7 ottobre, voci di giovani palestinesi e israeliani. Con loro anche giovani russe e ucraine e voci di altri conflitti dimenticati. Chi vuole contribuire a formare una nuova generazione di “leader di pace”, per trasformare i conflitti in nuove opportunità di sviluppo e fare il “passo possibile” sostenendo il fondo

di solidarietà per borse di studio per una coppia di “nemici”,

può farlo donando, con bonifico, sull'Iban IT 74 D 05018 02800 000011483518 o sul sito www.rondine.org





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