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Pagine di Vangelo scritte con la concretezza della vita



Cari amici lettori, diversi di noi avranno forse sentito o letto della storia della giovane mamma di Oderzo, in Veneto – Azzurra Carnelos, 31 anni (nella foto) –, che, ammalata di un grave tumore durante la gravidanza, per non nuocere al bambino che portava in grembo, ha voluto sospendere le terapie fino alla nascita del piccolo, perdendo la sua vita poco tempo dopo, lo scorso 13 aprile.

Una storia fatta di amore per la sua piccola famiglia, di amore per la vita, di fede vissuta, di speranza, di affidamento a Dio (i sacerdoti che l'hanno conosciuta ne hanno testimoniato la vita di fede e di preghiera), di un orizzonte più ampio che è la risurrezione. Una storia che profuma di Vangelo, di capacità di dono della vita e di scelte consapevoli – da parte di una donna giovane ma maturazione spiritualmente. A volte succede che come cristiani sosteniamo il valore della vita in modo astratto, con concetti che pure ci vogliono, quando occorre “inquadrare” una realtà con la ragione.

Ma sono storie come quelle di Azzurra a rendere credibili quei valori. Perché, senza neppure nominarli, li testimoniano con la vita. E “testimonianza” è una parola-chiave oggi per il futuro del cristianesimo: una fede vissuta, espressa in gesti che dicono la gratuità, la dedizione generosa e senza calcolo, l'essereper-gli-altri che è il cuore dello stile cristiano, “mostrano” in modo credibile il Vangelo.

Abbiamo bisogno di storie così luminose, il cui profumo si espande come quello della donna che unge Gesù alla vigilia della Passione con un gesto “eccessivo” che al pragmatico Giuda pare uno spreco e che invece rivela un amore puro (Giovanni 12,1-12) ). Qualche sera fa ho avuto modo di “toccare con mano” un'altra pagina di vita che profuma di Vangelo: la storia di Nico Acampora, il fondatore di PizzAut, la pizzeria che dà lavoro a ragazzi autistici, che vi abbiamo raccontato su Credere n . 12. A una cena a cui ero stato invitato organizzata nel suo locale, Acampora ha raccontato come è nata e si è sviluppata l'idea, ma anche le scoraggianti difficoltà per realizzare un'idea che a tanti pareva un'assurdità. Ma il momento più commovente, dopo il racconto di Acampora, è stato la testimonianza dei “suoi” ragazzi: dopo che li avevamo visti all'opera in cucina ea tavola, due di loro hanno raccontato brevemente come vivono oggi.

Erano ragazzi che, per la loro disabilità, non uscivano praticamente da casa, avevano paura a prendere persino la metropolitana, “chiusi” – fisicamente e psicologicamente – nel loro mondo. Il lavoro creato dal fondatore di PizzAut ha ridato loro dignità, e anzi li ha trasformati in risorse per la società. Insomma, ragazzi restituiti alla vita, a relazioni sociali serene, per quanto possibile.

Ma dietro tutto, si avvertiva il cuore grande di un uomo, che è anche un papà, che ha ridato loro la vita una seconda volta e ha trovato il senso della sua vita nello spendersi per il bene di altri. Non per niente è stato invitato a parlare della sua “creatura” all'Onu il prossimo giugno. Vite donate, vite che parlano di un “oltre” e di un “di più”, e che interrogano anche noi su come il mistero pasquale di morte e risurrezione può dare senso al nostro vivere e anche al nostro morire.





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