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Per un 25 aprile di liberazione e riconciliazione



Il 25 aprile si festeggia la liberazione dell'Italia dall'occupazione nazista, a seguito di una guerra devastante e una guerra civile, un baratro in cui il Paese è stato spinto dal regime fascista e dalla monarchia fantoccio che l'aveva appoggiato. Grazie all'intervento americano e dei Paesi alleati, anzitutto gli inglesi, che per primi ebbero il coraggio e la visione di opporsi al nazionalsocialismo, l'Italia è stata liberata.

Con l'aiuto deciso, commovente, audace e la testimonianza di uomini e donne che scelsero di stare dalla parte giusta, e seguendo l'ideale vero di libertà combatterono sulle montagne, nelle campagne, porta a porta, sostenuti da tanta gente di buona volontà che a rischio della vita li ha protetti. Hanno resistito, appunto. Non tutti, i più erano silenti, da vent'anni, per interesse o paura.

Alcuni ignobilmente, altri perché ci credevano, indottrinati e invasati da cattivi maestri e illusioni. Quanti ragazzi, poi consapevoli dell'errore di prospettiva, che dopo diventarono lumi dell'antifascismo, giornalisti, scrittori, artisti. Sangue italiano contro sangue. Non mi piace ricordare il sangue, ho sempre capito poco i francesi che cantano trionfanti le «sanguinanti bandiere». Si celebra non la morte, ma chi ha ridato la vita a un Paese piegato e si cerca di capire, 79 anni dopo, liberandosi anche da comprensibili odii e rivalse. Soprattutto se quegli anni terribili non si sono vissuti.

Quante volte abbiamo sentito saggi capi di Stato e pensatori intelligenti invitare a una riconciliazione nazionale, nel riconoscimento di un patrimonio storico comune che ha fatto nascere la Repubblica.

E invece ogni anno il 25 aprile divide, boicotta, grida, come se il mostro del fascismo servisse a sfogare rabbia ea placare delusioni. Ma se tutto è fascismo, nulla lo è. Un fenomeno storico non può e non deve essere eretto a mito, seppur negativo, non può essere il metro di valutazione di diverse esperienze politiche, utilizzato come insulto indirizzato a chiunque la pensi diversamente, o esprima una cultura che non ci piace, e neppure a chi si pieghi alla violenza. I mafiosi non sono fascisti. Gli islamici radicali non sono fascisti. Sarebbe bene non dividersi, per combattere i pericoli di oggi. Invece assistiamo sempre alle parate ad uso partitico,

all'Associazione nazionale partigiani senza più partigiani, che dà sostegno agli studenti che sfondano i rettorati e insultano i docenti, ai finti pacifisti che non hanno alzato uno striscione dopo i massacri del 7 ottobre in Israele, che chiudono gli occhi sulla “martoriata” Ucraina, assistiamo ancora ai cattivi maestri che esaltano i brigatisti, fingendo che questa sia libertà di opinione. Ecco, se certe espressioni pubbliche non sono forme di cultura fascista poco ci manca.

Chi si inneggia alla pace, dovrebbe cercare la pace, mostrare la pace, lavorare per la pace. Solo di questo abbiamo bisogno, ma partendo da qui, dal nostro Paese, orgogliosi finalmente di una sola bandiera, il tricolore.





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