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A Rmeich, il villaggio libanese che grida pace



da Rmeich

«Vogliamo dire al mondo intero che Rmeich è un villaggio di pace, che accoglie la gente che vuole vivere in serenità. Per questo non permettiamo a nessuno di lanciare missili da noi, e chiediamo che neanche gli altri ci bombardino». Milad Al-Alamsindaco del villaggio che si trova lungo la linea blu che demarca il confine tra Israele e Libano, dà il benvenuto «qui dove la gente resiste con il sudore della fronte, rifiutando la guerra e cercando di vivere in pace». Dei poco più di 11mila abitanti che vivevano nell'unico comune interamente cristiano rimasto intatto negli scontri tra Hebollah e Israele, ne sono rimasti circa 6.500. «Erano scappati in tanti a Beirut subito dopo la strage di Hamas e la ripresa dei lanci dei missili, ma dopo un po' di mesi la maggior parte di loro è ritornata». Anche se attorno c'è distruzione e insicurezza, «se molti hanno perso il lavoro, le scuole sono ancora chiuse e abbiamo bisogno di aiuti umanitari». Ma, aggiunge il sindaco, siamo abituati a vivere nelle avversità. «È una situazione che conosciamo dal 1914. Dalla prima guerra mondiale in poi abbiamo dovuto fare i conti con le invasioni a ondate da parte di Israele. L'ultima, nel 2006, quando abbiamo accolto nel nostro villaggio i civili che ne avevano bisogno». Non fanno distinzioni di fede e cultura. «La nostra croce rossa, così come la Caritas si occupa di chi ha bisogno, chiunque sia. L'unica cosa che non tolleriamo è la violenza». Per questo, quando lo scorso marzo dopo che «gruppi armati, non potrei dire con esattezza chi», spiega padre Toni Elias, avevano lanciato un missile vicino al villaggio e si apprestavano a lanciarne un altro, la popolazione, sacerdote in testa, è corsa a cacciarli via. Al suono delle campane e alla mobilitazione della popolazione «sono dovuti andare via. abbiamo paura della risposta israeliana che colpisce i luoghi da cui partono gli attacchi», aggiunge ancora.

In chiesa c'è la via crucis in legno dono di un benefattore. Detto, in italiano Felice, «vive qui, ma ha una impresa di legnami in Ucraina. Ha voluto provvedere lui a restaurare, nel 2018, la nostra parrocchia. Vive la doppia paura della guerra lì e dei missili qua, ma continua ad avere fede». Padre Toni Elias, parroco della Trasfigurazione a Rmeich, mostra i «tesori» della sua chiesa. Che sono fatti soprattutto «delle migliaia di persone che frequentano la messa e sono aggrappati alla fede, soprattutto in questo momento così difficile».

Popolo di agricoltori e coltivatori soprattutto di tabacco, impiegati pubblici e nelle forze armate, ringrazia «il contingente italiano di Unifil che si trova in questo settore. Ci dà una mano da inchinarsi», dice il sindaco. «Ci ​​aiutano a ritrovare serenità in un momento in cui, usciti dal covid, e con una crisi economica durissima dobbiamo affrontare anche questa situazione».

Stringono i denti, continuando a ripetere che «non abbiamo niente per cui litigare con gli altri Accettiamo tutte le culture e le religioni, non odiamo nessuno, ma chiediamo pace. E non solo per noi, per l'intero Libano. «Desideriamo una pace serena e duratura, speriamo che venga eletto un presidente della Repubblica che abbia uno sguardo su tutto il territorio libanese e su tutte le popolazioni», concludono riferendosi alla situazione di stallo che ha bloccato l'elezione del capo dello Stato da ormai due anni. «Un presidente che possa proteggere i 10.452 chilometri quadri del nostro territorio libanese. Non ce la facciamo più. Il nostro è un grido a tutto il mondo: pace. E anche se sono sicuro che io non la vedrò spero che un giorno i miei tre figli, possano, invece, vivere serenamente».





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