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I cattolici e il loro contributo di pensiero nell’arena pubblica



Cari amici lettori, in questo numero vi presentiamo una riflessione su Dignitas infinitail documento del Dicastero per la dottrina della fede pubblicato lo scorso 2 aprile, con un'ampia intervista a monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita.

È una “Dichiarazione sulla dignità umana” di grande attualità, perché tocca un ampio ventaglio di temi “caldi” in ogni ambito umano e che sono oggetto di discussione anche a livello sociale e politico. Ma il valore promosso da questo documento, la dignità umana appunto quale base di ogni diritto, viene prima di qualsiasi azione politica, e intende richiamare ai tanti aspetti del vivere umano in cui la dignità umana viene calpestata nei modi più diversi e dare un contributo a umanizzare questo mondo segnato anche dal male e dall'ingiustizia. Molti diranno – e forse anche qualche credente lo pensa – che si tratta di una visione “confessionale”, che riguarda dunque la sfera privata, personale, non quella pubblica.

Ma è veramente così? È giusto che sia proprio così? I cristiani fanno parte della società come tutti e non si vede perché non possono portare un proprio contributo originale nell'arena dell'opinione pubblica. Un pensiero argomentato, e non una posizione “confessionale” (e tanto meno un'imposizione), nel confronto con le scienze e con altre visioni ideali. Dopo tutto l'ethos cristiano ha lasciato tracce profonde anche nelle nostre laiche società europee (il concetto di persona, il valore della solidarietà); la stessa Costituzione italiana è frutto anche del contributo di personalità cattoliche. Anche se oggi non è maggioritario, il pensiero cristiano ha diritto di cittadinanza, in un mondo certo plurale.

Fa pensare in proposito un episodio accaduto qualche giorno fa, il 19 aprile, all'Università di Catania: a un convegno organizzato dall'associazione antiabortista “Scienza e vita”, sul tema “La disforia di genere nei minori e la carriera alias negli istituti scolastici: questioni mediche, antropologiche e giuridiche”, un gruppo di studenti ha occupato il rettorato dell'ateneo e poi l'aula magna, contestando l'evento come «discriminatorio contro la libertà delle persone» e accusandolo di «transfobia», motivo per cui di fatto il dibattito è stato interrotto. Successivamente l'arcivescovo della città, monsignor Renna, presente al convegno, è intervenuto con una nota accorata, parlando di una «sconfitta per tutti» rispetto all'occasione (perduta) di un dialogo tra posizioni diverse, con il contributo di docenti e professionisti laici. «Certo, hanno una visione diversa da altri», ha scritto, «ma la democrazia non è il sogno di chi dialoga, o è l'imposizione di un pensiero unico che non si confronta mai con nessuno?». Mi pare che questa frase riassuma una domanda su cui riflettere.

Non si tratta di cedere alle provocazioni, ma di argomentare, di essere liberi di farsi sentire – con rispetto e pacatezza ma anche senza falsi timori. Non si tratta neppure di rivendicare una pretesa “superiorità” cristiana, ma di poter contribuire al pubblico dibattito con la propria identità, senza complessi d'inferiorità e senza poteri derivanti dal “privilegio” (stagione che è ormai archiviata). Una piccola provocazione finale: le nostre parrocchie non si sono un po' disabituate, nei decenni, a discutere serenamente ma apertamente anche di temi di rilevanza sociale e politica (che non significa fare propaganda partitica)?





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