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«Grazie ai 5 milioni di spettatori che si sono fidati di ciò che avevo da raccontare»


a cura di Chiara Pelizzoni

È contenta Paola Cortellesi, ma anche ironica mentre ritira il premio come Miglior esordio alla regia con C'è ancora domani «alla soglia della menopausa»; «il mio pensiero» aggiunge la regista «va ai giovani registi esordienti». Premio anche come miglior attrice ringrazia «i cinque milioni di persone che hanno compiuto il gesto eroico di uscire di casa, cercare parcheggio, comprare un biglietto e scegliere proprio questo film» ha detto l'attrice ritirando il premio. e fidarsi di ciò che avevo da proporre loro. Ringrazio chi ha voluto parlare con me di una bella proiezione e in particolare, non conosco il loro nomi, il signore di Torino che… “ero uno di quei bambini ci mandavano di là e la signora di Genova che con fierezza ha alzato la mano e ha detto “sono stata una Delia e ora non lo sono più”. Le vostre parole hanno scavalcato le chiacchiere da film e sono entrate nelle vite, le nostre, dando un senso profondo al nostro lavoro».

Italiana dell'anno 2023 per Famiglia Cristiana, riproponiamo l'intervista che per l'occasione a dicembre scorso le ha fatto Eugenio Arcidiacono. La motivazione del premio per il nostro settimanale? «Paola Cortellesi è l'italiana dell'anno di Famiglia Cristiana del 2023 per il coraggio con cui si è messa in gioco nel suo debutto alla regia, sia sul piano artistico (girando in bianco e nero) sia su quello dell'impegno civile. Il suo C'è ancora domani è il film più visto dell'anno con oltre quattro milioni di spettatori, segnando così la rinascita del cinema italiano dopo il periodo buio della pandemia. Si tratta di un'opera che, nel solco della grande tradizione del neorealismo, attraverso una vicenda ambientata 75 anni fa, ha saputo immergerci nel presente, nella realtà delle tante donne che, come la sua Delia, lottano per affermare i loro diritti in una società intrisa di maschilismo. E lo ha fatto con le doti che da sempre hanno contraddistinto la sua carriera: l'impegno e l'ironia».

IL MIO ATTO D'AMORE PER LE DONNE DEL FUTURO

di Eugenio Arcidiacono

Nella scena chiave di C'è ancora domani, la protagonista Delia dice alla figlia Marcella: «Te però sei in tempo». In tempo per scegliere un destino diverso da quello di donna rassegnata alle violenze da parte dell'uomo che dovrebbe amarla. Ma la figlia le risponde: «Pure te, ma'». Questa scena è diventata un cartellone che una studentessa, Caterina Cesari, ha portato con sé al corteo contro la violenza sulle donne che ha sfilato per le strade di Roma all'indomani del femminicidio di Giulia Cecchettin. Paola Cortellesi, presente alla manifestazione, lo ha visto, ha raggiunto Caterina e l'ha abbracciata. Basta questo per spiegare perché Famiglia Cristiana ha deciso che sia lei l'italiana dell'anno. Il suo primo film da regista, un'opera in bianco e nero lontana dalle sue prove più leggere, risulta essere il più visto del 2023 con oltre 4 milioni di spettatori, film dell'anno dei Nastri d'argento, venduto finora in 18 Paesi . Ma, soprattutto, C'è ancora domani, nel solco della migliore tradizione del cinema italiano, pur essendo ambientato 75 anni fa, è diventato un formidabile strumento per raccontare un presente in cui i diritti delle donne continuano a essere calpestati, unendo più generazioni. Logico che Paola confessa di essere frastornata da tutto questo: «Il vostro premio mi onora moltissimo. Mi sembra tutto molto strano, però sono strafelice».

Partiamo dalla fine, cioè dai titoli di coda del tuo film. Perché lo hai dedicato a tua figlia Lauretta che ha 10 anni?

«Perché lei è stata la mia musa. Il finale del film mi è venuto in mente dopo averle letto un libro per ragazzi, Nina ei diritti delle donne, di Cecilia D'Elia, che consiglio a tutti i genitori. Mentre lo leggevamo, era incredula: non credeva che per millenni le donne fossero state costrette a subire prevaricazioni d'ogni tipo, che quei diritti che lei dà per scontati siano il frutto di dure lotte. Questo all'inizio mi ha sollevata. Ho pensato: “Che bello, mia figlia crescerà in un mondo diverso”. Ma subito è arrivato un altro pensiero: “No, è importante che conosca il passato perché solo così saprà che i diritti non sono eterni e che dovrà combattere anche per conquistarne di nuovi”. Quindi il film alla fine è un atto d'amore di una madre verso la figlia».

I dati dicono che il tuo film ha riportato nei cinema persone che non ci andavano prima della pandemia. Perché, secondo te?

«È uscito in un momento in cui il tema della violenza sulle donne, purtroppo, è vivo più che mai e c'è stato un grande passaparola, tanto che così di persone che l'hanno visto anche più volte. Magari una moglie è andata prima con il marito e poi ha voluto portarci pure la mamma o la figlia. Comunque, non sono andate solo le donne a vederlo: gli uomini sono il 45% degli spettatori. Molti hanno espresso posizioni forti, sentendosi chiamati in causa non come potenziali assassini, ma come persone che nella vita di tutti i giorni possono cambiare certi atteggiamenti e linguaggi che ancora resistono. Sono felice perché in tanti hanno riscoperto quanto sia bello nel buio di una sala ridere, commuoversi e poi magari condividere queste emozioni insieme a persone sconosciute. Un'esperienza che le serie televisive, che puro apprezzo, non possono creare. Un signore ci ha detto che l'ultima volta in cui era andato al cinema si poteva ancora fumare…».

Paola Cortellesi, Delia in “C'è ancora domani”

Nel tuo film hai scelto di non mostrare le scene di violenza, oppure di stemperarle trasfigurandole in una danza. Perché?

«Perché siamo così permeati dalle scene di violenza che rischiamo di esserne assuefatti e io non volevo che la curiosità morbosa di vedere un occhio pesto togliesse forza alla realtà che stavo raccontando».

IOn una recente intervista, il generale Vannacci, l'autore del controverso bestseller Il mondo al contrario, ha dichiarato che andrà a vedere il tuo film, ma che secondo lui dietro ai femminicidi non ci sono «maschi patriarcali», ma «mollaccioni smidollati», facendo l'esempio di suo nonno «classe 1898, orfano a 11 anni, in marina a 16, caduto decine di volte e si è sempre rimesso in piedi. Non ha mai alzato un dito su mia nonna e l'ha sempre rispettata. Quelli che ammazzano le donne sono uomini che non sanno stare da soli, che sono dipendenti da loro e che, quando temono di venire abbandonati, perdono la testa». Che ne pensi?

«Non è questione di uomini forti e uomini deboli. È che adesso noi conosciamo gli episodi di violenza perché le donne li denunciano, mentre per una donna come Delia non era proprio contemplata una simile possibilità. Gli uomini e le donne crescevano in una cultura dove i rapporti erano basati sulla sopraffazione e quindi non c'erano conflitti nelle coppie, perché c'era chi era stato educato a comandare e chi invece a subito. Le mie nonne e le mie zie mi raccontavano davanti al camino di altre donne loro conoscenti usando frasi come: “Ammazza quante botte che prendeva, porella”. E poi aggiungevano: “E che ce voj fa?”. Le donne di oggi per fortuna non sono così».

Ma il problema di un'educazione all'affettività per i giovani è reale. Gli esperti sottolineano i rischi per chi cresce con messaggi e immagini violente e pornografiche veicolate da Internet che mostrano la donna solo come un oggetto da possedere.

«Sono fermamente convinto che questo tipo di educazione vada insegnata nelle scuole fin dalle elementari. Ci vuole una materia vera e propria, che faccia media per intenderci, che educhi i ragazzi e le ragazze ai sentimenti e al rispetto di sé stessi e degli altri, che insegni a distinguere tra cosa è finzione o esibizione e cosa è la vita reale, specie in un contesto in cui molti di loro tendono a isolarsi».

È vero che da ragazzina eri un “maschiaccio”?

«Anche questo termine è figlio di un'epoca in cui aveva un'accezione negativa, anche se scherzosa. Sì, mi chiamavano così ma io ero semplicemente me stessa, cioè una ragazzina vivace».





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