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La mummia di Similaun ci parla attraverso un romanzo


Piero Lotito.

Tutti conoscono la mummia di Similaun, il cadavere risalente a 5 mila anni fa rinvenuto nel 1991 ai piedi del monte altoatesino, a 3.213 metri, in condizioni straordinariamente integre, tali da svelare numerosi dettagli su com'era la vita degli uomini all'età del rame. Quel mucchietto di pelle e ossa di tredici chili è il reperto antropologico, oggi ospitato nel museo archeologico di Bolzano, meglio custodito e più studiato della storia dell'uomo. Ma l'essere umano non è solo costumi e abitudini: quel che mangiava, come cacciava, dove abitava, chi frequentava, di che utensili disponeva. C'è una sostanza immateriale, che è anche materia dei sogni – direbbe il Bardo – che nessuno scienziato può spiegare: paure, gioie, desideri, emozioni, rimpianti, affetti, amori. Ed è qui che subentra l'arte e la letteratura. Piero Lotito, giornalista e scrittore (La notte di Emil VranaSan Paolo, il pugno immobileAragno, il recente Lo zio Aronne somigliava a Jean Gabin, Ares) attraverso lo strumento del romanzo e della narrazione riempie di carne e sangue quel mucchietto di di 13 chili, ridandogli vita, quella vera, privilegio della finzione, immaginando la sua storia. Se è infatti vero che non c'è nulla di più romanzesco della realtà vale anche il contrario, non c'è nulla di più vero e realistico dell'immaginazione.

Una storia ancestrale di vento, gelo, neve quella di questo guerriero-cacciatore, ambientata in una natura anora selvaggia incastonata in paesaggi quasi lunari e solitari, a migliaia di metri di altitudine, tra cime impervie e arcigne, con scenari popolati più da ombre pronte a manifestarsi come hobbit più che di esseri umani. Così come Otzi (il nome della mummia datogli dagli scienziati) maneggia abilmente arco e frecce, Lotito scocca gli aculei della narrazione attingendo a una notevole faretra di voci lessicali dalle precise sfumature. Chi lo ha conoscito da cronista metropolitano della Milano tutta cemento, nebbia e onicidi noir (e che cronista) rimane sorpreso dalla capacità di descrizione di una natura ostile e incontaminata. Lotito ci porta dentro una trama lenta e al contempo avvincente, tra la neve e il fuoco, da assaporrare come si toccano con la lingua i cristalli di ghiaccio, ea ogni pagina proviamo brividi di gelo lungo la schiena. Lettura gradevolissima e accattivante, direi indispensabile per tutti coloro che intendono visitare Otzi al museo di Bolzano: dopo aver letto Lotito chi scruterà dietro la teca di cristallo quella piccola grande mummia saprà esattamente (o quasi) chi si trova adavanti. E probabilmente inizieremo a intrattenere con lui, come se lo conoscesse da 5 mila anni, tra la sorpresa degli altri visitatori.





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