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La vera storia di Aldo Braibanti, il protagonista del film ‘Il signore delle formiche’


Il reato di plagio, previsto dal codice Rocco, e rimasto in vigore fino al 1981, portò una sola volta un uomo a processo e alla sua condanna. Accadde nel 1968 e passò alla storia come “il caso Braibanti”. Una storia che però è stata dimenticata malgrado il grande clamore che suscitò all'epoca, e che è stata riscoperta grazie al film Il signore delle formiche del regista Gianni Amelio.
Aldo Brabanti era un intellettuale a tutto tondo, poeta, letterato, drammaturgo, regista, ceramista, ma era anche un appassionato entomologo, in particolare studiosa le formiche e si definiva un mirmecologo. Nato a Fiorenzuola d'Arda, il 17 settembre 1922, mostrerà spiccate doti artistiche già da bambino. Studente eccellente del liceo classico di parma, Braibanti ottenne l'esonero dal pagamento delle tasse. Entra nella Resistenza partigiana prima aderendo al movimento “Giustizia e libertà” e poi al Partito Comunista Viene arretato due volte, la prima volta con il futuro segretario repubblicano Ugo La Malfa. , poi insieme a un gruppo di partigiani di cui faceva parte anche Sandro Pertini. Nel dopoguerra diventa i responsabile della Gioventù Comunista toscana. Nel 1947 però abbandona la politica per dedicarsi a vari aspetti culturali, in primo luogo quelli artistici. Sempre nel 1947 inizia l'esperienza comunitaria del torrione Farnese di Castell'Arquato, un laboratorio artistico per sei anni diviene uno studio ceramistico e polivalente. Nel 1962 si sposta a Roma. In quel periodo lavora a teatro con il giovane Carmelo Bene Apprezzato dagli intellettuali del suo tempo per la sua visione anticonvenzionale, la profonda cultura, le idee sceniche all'avanguardia, era un omosessuale. Anche se nell'Italia del dopoguerra l'orientamento sessuale in sé non era più motivo di incarcerazione o confino, era pur sempre una condizione osteggiata, da tenere nascosta, oggetto di riprovazione sociale. Ma a intentare l'accusa di plagio e quindi il processo fu la famiglia di uno dei giovani che frequentavano i suoi atelier e laboratori, Giovanni Sanfratello, di 23 anni. La famiglia era contraria al percorso culturale intrapreso dal figlio, che in aperto contrasto con i genitori, poi era andato via da casa per raggiungere Braibanti a Roma. I due avevano una relazione, e questo fu il pretesto per il padre di denunciarlo per plagio. Nel novembre del 1964 un gruppo di quattro uomini arrivò senza preavviso nella pensione in cui il professore e il giovane alloggiavano, prelevò con la forza il ragazzo. Giovanni sarà trasferito prima a Modena in una clinica privata per malattie nervose, poi al manicomio di Verona dove subirà un grande numero di elettroshock e vari shock insulinici per correggere l'orientamento omosessuale, considerato alla stregua di una malattia mentale. Tutto questo contro la sua volontà. Fu subito intentato il processo a Braibanti per plagio ea nulla valse che il giovane fosse maggiorenne e che continuasse sia al momento della cattura, sia in manicomio, sia al processo, di essere stato sempre consenziente.

Il 14 luglio 1968 la Corte di Assise di Roma condanna a nove anni di carcere Aldo Braibanti per plagio. Il 27 settembre 1969 la Corte di Assise di Appello riduce la pena a quattro anni (due gli vengono condonati in quanto ex partigiano). A nulla valse il sostegno e la presa di posizione di personaggi illustri come Marco Pannella, Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Alberto Moravia, Dacia Maraini e Umberto Eco. Così scrisse sul caso Pier paolo Pasolini: “Se c'è un uomo «mite» nel senso più puro del termine, questo è Braibanti: egli non si è appoggiato infatti mai a niente ea nessuno; non ha chiesto o preteso mai nulla. Qual è dunque il delitto che egli ha commesso per essere condannato attraverso l'accusa, pretestuale, di plagio? Il suo delitto è stata la sua debolezza. Ma questa debolezza egli se l'è scelta e voluta, rifiutando qualsiasi forma di autorità: autorità, che, come autore, in qualche modo, gli sarebbe provenuta naturalmente, solo che egli avesse accettato anche in misura minima una qualsiasi idea comune di intellettuale: o quella comunista o quella borghese o quella cattolica, o quella, semplicemente, letteraria… Invece egli si è rifiutato d'identificarsi con qualsiasi di queste figure – infine buffonesche – di intellettuale”. Poi, nel settembre 1971, la Corte di Cassazione dichiara definitiva la sentenza, con la quale viene applicato per la prima volta in Italia l'articolo 603 del Codice penale che prevede l'accusa di plagio. “Braibanti, un uomo adulto, volitivo, esperto, sottile, dialettico, controllato, tenace, omosessualmente intellettuale – recita la sentenza – ha un vizio che deve soddisfare e che invade tutto il suo Essere psichico, che lo muove e lo domina; è indubbiamente colto anche se disarmonizzato e non integrato, ma è anche ambizioso, orgoglioso, immodesto; fisicamente svantaggiato, ha per legge di compensazione esaltato – ed è portato a sopravvalutare – le sue doti intellettive. Però è praticamente un fallito: scrive libri che nessuno legge; quasi cinquantenne, vive ancora una vita fatta di miseria, di panini imbottiti, di panni lavati da sé, di carità della madre, del fratello, degli amici. È preda di sete di potere, di dominio di rivincita, professa monismo e anarchismo, combatte la famiglia, società e Stato; disprezza la scuola e la morale; ripudia il conformismo dei più perché i più sono la gente fisicamente, psichicamente e sessualmente sana, normale, hanno cioè quel che a lui è stato negato”.





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