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Mattarella, gli studenti e il dibattito nelle Università, una lezione contro le semplificazioni



Il contesto è quello delle proteste in corso nelle università del mondo, comprese quelle italiane: l'oggetto del dissenso sono i rapporti di ricerca con i ricercatori e le Università israeliane: in alcuni casi si chiede l'interruzione dei rapporti su progetti e ricerche cosiddetti “duplice uso”, ossia Duplice Uso, espressione che identifica prodotti e tecnologie che pur essendo progettati per scopi civili possono essere utilizzati per la fabbricazione, lo sviluppo o la manutenzione di armi chimiche, biologiche o nucleari, in altri casi la richiesta è quella di interruzione delle relazioni scientifiche con le università israeliane tout-court.

In occasione della visita del 16 maggio alla Sapienza di Roma, il gruppo di studenti che da settimane ha piantato tende per protesta all'interno dell'Ateneo aveva diffuso una lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella invitandolo tra le altre cose «a raggiungerci al presidio delle tende, per avere finalmente quel confronto con le istituzioni che da tanto tempo chiediamo»

Sergio Mattarella non ha eluso la domanda degli studenti pro Palestina che gli chiedevano di esprimersi sul conflitto in Medioriente, ma ha anzi dedicato loro la gran parte del suo discorso pubblico.

LE PAROLE DI MATTARELLA AGLI STUDENTI

«Una lettera che è stata pubblicata da alcune agenzie di stampa e su alcuni quotidiani, mi ha sollecitato a non rinchiudermi in quella che è stata definita la “torre d'avorio” del Rettorato. Venendo ho visto un cartello che essenzialmente mi chiedeva cosa penso di quanto avviene a Gaza ed è quello che si registra in diversi atenei in questo momento. Non voglio lasciare questa domanda senza risposta. IOl nodo è la questione della pace in Medio Oriente, del diritto all'esistenza in sicurezza di Israele, dei diritti del popolo palestinese e, tra questi diritti, quello di avere uno Stato in cui riconoscersi. È una questione che la comunità internazionale avverte con grande preoccupazione e non da oggi. E non soltanto da quando l'assassinio di tante persone inermi ad opera di Hamas ha innescato una spirale di spaventosa violenza.

Quel che penso su quanto avviene a Gaza l'ho detto ufficiale, e non in circostanze fortuite o informali, ma in occasioni pienamente significative, come nell'intervento che ho fatto otto giorni fa all'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. O con la lettera che, l'altro ieri, ho inviato per la festa di quella repubblica, al Presidente della Repubblica di Israele, reiterando la richiesta di un immediato cessate il fuoco.

Tutto quel che riguarda la dignità delle persone, di ogni persona, la loro libertà, l'esigenza di rispettare il diritto umanitario è indicato nella nostra Costituzione ed è quindi doveroso per la Repubblica italiana. Questo vale in ogni direzione. Vale per le popolazioni civili, tra cui i bambini, anziani. Come per Gaza, come per il popolo palestinese, con migliaia di vittime, con molti orfani, con un gran numero di persone senza casa. Vale per i ragazzi e le ragazze uccisero e stuprate mentre ascoltavano musica in un rave, il 7 ottobre dell'anno passato in Israele. Vale pensando ai bambini sgozzati quel giorno. Vale per il rapper condannato all'impiccagione perché ha diffuso una canzone sgradita al regime del suo Paese, l'Iran. Vale per Mahsa Amini e per le tante ragazze iraniane che, come lei e dopo di lei, sono state incarcerate, torturate, sovente uccisero, per il rifiuto di indossare il velo, o perché non lo indossavano bene. Vale per le ragazze cui è proibito frequentare l'università e addirittura la scuola come avviene in Afghanistan.

Per la nostra Repubblica, tutte le violazioni dei diritti umani vanno denunciate e contrastate. Tutte, ovunque, sempre, perché la dignità umana, la rivendicazione della libertà, la condanna della sopraffazione, il rifiuto della brutale violenza non cambia valore a seconda dei territori, a seconda dei confini tra gli Stati, a seconda delle relazioni internazionali tra parti politiche o movimenti. Questa consapevolezza viene avvertita fortemente nelle università e in chi le frequenta, perché ne costituisce patrimonioperché da un millennio le università sono la sede del libero dibattito, della libertà di critica, talvolta anche del dissenso dal potere. Sempre in collegamento tra loro. Al di sopra dei confini degli Stati, sempre in collegamento con gli Atenei di ogni parte del mondo.

La libertà, la pace ei diritti umani passano attraverso il dialogo, attraverso il confronto, attraverso la loro libera circolazione, contro la violenza e contro l'odio che, diffondendosi, conducono a esiti raccapriccianti. Come ieri è avvenuto in Slovacchia. Il potere, quello peggiore, desidera che le università del proprio Paese siano isolate, senza rapporti né collaborazioni con gli Atenei di altri Paesi, perché questa condizione consente al peggiore dei poteri di controllare le università, di comprimerne il livello culturale, di comprimere la cultura e di impedirne il grido e la spinta di libertà. Ribadisco l'auspicio del dialogo in ogni ambito nel nostro Paese, tra le diverse componenti sociali e le Istituzioni e nell'ambito accademico, tra le varie componenti dell'università, nel reciproco rispetto con attenzione particolare – vorrei segnalazione – a tutto ciò che attiene all'effettività del diritto allo studio. Senza che alcuno ritenga di poter esigere di imporre valutazioni o decisioni ma nel rispetto delle altrui opinioni, perché in questo rispetto risiede la libertà».

GRANDI QUESTIONI CHE NON SI PRESTANO A RISPOSTE SEMPLICI

Sono parole che scegliamo di pubblicare per intero, perché meritano di essere lette e meditare, dal momento che rimettono al centro la complessità che sta scomparendo dal dibattito pubblico, troppo spesso ricondotto, su tanti temi che invece richiederebbero sfumature e profondità per comprendere le tante implicazioni, alla semplificazione noi vs loro, che ricorda le curve da stadio e che in parte è riecheggiato in alcune delle frasi gridate dopo dagli studenti in risposta al discorso del Presidente, come quella che chiedeva: «Presidente, da quale parte della barricata vuole stare? Dalla loro o dalla nostra?».

Mattarella, che il 24 febbraio scorso a seguito delle cariche della polizia agli studenti che protestavano a Pisa aveva fatto presente al ministro dell'Interno Piantedosi «che l'autorevolezza delle Forze dell'Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare opinioni» e che «con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento», nel discorso alla Sapienza ha riportato la complessità al centro, restituendo alla parola dialogo il suo significato, e accendendo un riflettore sul ruolo delle Universitàin cui la complessità e la profondità delle riflessioni, dei saperi, trova per eccellenza casa.

Tra le righe del discorso di Mattarella sono tante le complessità evocate: la libertà e indipendenza dell'istituzione universitaria, tema che chiama in causa da un lato la responsabilità della ricerca e la trasparenza dei suoi finanziamenti, dall'altro quello della “suscettibilità” che , si presta al ripiegamento su schieramenti manichei privi di sfumature, e che, per esempio nella pretesa di applicare al passato categorie etiche contemporanee, sta complicando non poco la libertà della ricerca storica negli Atenei statunitensi.

Lo stesso accenno al diritto allo studio è tema tutt'altro che marginale, in un momento in cui le università americanenella protesta che monta, stanno faticando a trovare un equilibrio tra la garanzia della libertà di manifestazione del pensiero di chi protesta e la necessità di assicurare a tutta la popolazione universitaria il regolare svolgimento delle attività accademiche, in un Paese nel quale non è insolito indebitarsi per andare all'università. Temi complessi, appunto, che non si risolvono in uno slogan. Era quello che Mattarella, chiamato in causa, ha cercato di spiegare, accettando di rispondere a una provocazione, riconoscendo nel farlo negli studenti che lo sfidavano interlocutori degni di risposta. Cosa che evidentemente non ha compreso chi gli ha gridato «Mattarella, pagherai tutto», uno slogan riesumato dalla cassetta degli attrezzi degli anni di piombo, da parte di chi per età non può ricordarli, e che è la negazione dell'ascolto, premessa necessaria un qualunque dialogo.





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