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Quando sor Claudio Ranieri ci disse: ‘Sarei supercontento di salvare il Cagliari’



Claudio Ranieri è stato il volto che la Famiglia Cristiana ha scelto per l'inizio di questo campionato, quando gli abbiamo chiesto quale fosse l'obiettivo, prima di raccontarci quasi tutto di sé, ci ha risposto: “Sarei supercontento di salvare il Cagliari”. Missione compiuta, Signore!

Qui di seguito le altre cose che ci ha raccontato al momento di cominciare l'avventura che lo ha riportato il Cagliari in Serie A

Quando Claudio Ranieri si accomodò sulla panchina del Leicester in Premier League, gli scommettitori lo pronosticarono Campione d'Inghilterra 2016 con una probabilità inferiore all'apparizione del mostro di Loch Ness. Forse non sapevano del suo Cagliari 1988-91, dalla C alla A in due stagioni, e sottovalutavano l'allenatore non conoscendo l'uomo: uno che a 71 anni, dopo il giro del mondo in 21 panchine, l'11 giugno 2023 ha pianto a fontana sul prato per il Cagliari (aridaje) preso a metà serie B in gennaio e portato in A al 94' dell'ultima partita . E lì, in piena festa, quando altri non avrebbero visto al di là della propria legittima soddisfazione, sentendo i suoi tifosi fischiare gli avversari è andato a dir loro di fermarsi, di applaudire. Sul campo che denuda le persone togliendo i loro filtri, Ranieri s'è rivelato il signore che tutti dicono, in tutte le lingue.

A proposito, sir Claudio o sor Claudio?

«Mi chiamano Sor Claudio perché sono romani e fanno gli spiritosi così; Sir Claudio perché son stato in Inghilterra. Per me nessuno dei due: Claudio Ranieri è basta».

Dopo lo scudetto del Leicester col Cagliari?

«Il Leicester è una storia andata, dobbiamo scriverne una nuova: io sarei super contento di salvare il Cagliari, di immettere nel calcio di Serie A giocatori interessanti e di far contenti i tifosi».

Dove ha trovato la lucidità per dir loro di non infierire nel pieno della festa?

«Ai miei giocatori avevo detto: “Se perdiamo dovete andare in vacanza consapevoli di aver dato tutto, senza rimpianti. A gennaio avremmo firmato tutti per giocare la serie A all'ultima partita. Se alla fine la conquisterà il Bari gli stringeremo la mano perché l'avrà meritata”. Poi abbiamo vinto noi e capisco che il popolo volesse sfogarsi dopo anni di derisioni: banditi, pecorai, pastori… ma per me è questione di rispetto dovuto ai giocatori ea un pubblico che si era comportato benissimo. Il mio desiderio è che i nostri tifosi facciano solo il tifo per i nostri colori, senza pensare ai cori contro le altre».

Chi si gioca davvero lo scudetto?

«Le sole. Il Napoli, squadra da battere, anche se non sarà facile rivincere. Il Milan e l'Inter. La Roma che vorrà entrare in Champions. La Juventus che, esclusa dalle Coppe (dall'Uefa per aver violato il regolamento finanziario, ndr) darà tutto in campionato. Nel gruppo c'è anche la Lazio e, tra le sorprese, indica l'Atalanta».

Toglie Totti e De Rossi e vince il derby di Roma, mette Pavoletti nel finale e va in A col Cagliari. Estro o calcolo?

«Calcolo. Vado dove la partita mi suggerisce».

Nel 2010 al 57' dell'ultima giornata era campione d'Italia con la Rom. Poi ha vinto l'Inter. Ci pensi ancora?

«No, come non penso al Leicester: guardo sempre a domani».

C'è chi la chiama The Normal One. Loè?

«Credo di essere una persona normale, sarà che non ho mai smesso di andare al supermercato con mia moglie: ho la fortuna rara di fare il lavoro che amo. Volevo fare il calciatore e ci sono riuscito, senza essere campione. Verso i 35 anni ho pensato: vediamo se son capace di allenare? Pian piano ci sono riuscito. Questo mi rende un uomo felice».

Dove si sente a casa?

«Dove alleno mi sento sempre a casa. A Cagliari, al popolo sardo mi sento affine per mentalità: sono discreto, non mi apro con tutti. In Calabria, per mia moglie. A Roma, la mia città. E a Londra, abbiamo una casa lì».

Cosa fa di 11 individui una squadra?

«Bella domanda, direi l'essere importanti l'uno per l'altro e per noi allenatori che dai giocatori dipendiamo. Non è detto che ci si debba frequentare volentieri fuori, l'importante è che si vada nella stessa direzione in campo. Il Cagliari è affiato anche fuori, come una famiglia».

Che cos'ha funzionato a Leicester?

«Tutti i giocatori hanno dato il 120% delle loro qualità, le grandi squadre non hanno avuto continuità noi invece sì, con in più la spensieratezza di chi doveva solo salvarsi e pian piano ha costruito qualcosa di inimmaginabile all'inizio».

Professa sempre fede romanista?

«Sono un professionista serio, mentre alleno una squadra, la mia fede è quella. Ma il bambino che è in me non può tradire quello che è sempre stato».

L'età della saggezza in panchina aiuta?

«Il tempo mi ha reso più riflessivo. Ma anche adesso quando mi arrabbio…Dico scherzando che sono democratico con la squadra solo se fa come dico io. Sono anche più spensierato, per me lo stress è stare senza squadra».

Che cosa le piace ancora?

«Stare con i ragazzi, trasmettere loro quello che so, imparare da loro. Vederli migliorare, quando dici stai sbagliando e ti stanno a sentire; la quotidianità del campo, sempre quella da quando avevo 18 anni. Prima giocavo in oratorio».

Cosa cambierebbe nel calcio potente?

«Vorrei più serenità e sportività da parte di tutti. In Inghilterra anche se retrocedi stanno lì con te, in Italia se si mette male ti contestano. Ma questo è il mare, dobbiamo saperci navigare».

C'è poesia nel calcio degli sceicchi? «Tutto affare. Per me il calcio è passione, ma ognuno è libero di scegliere per sé, rispetto tutti non giudico chi va anche per soldi. Dipende dal suo vissuto, da dove viene, da dove vuole andare».

Ranieri dove vuole andare?

«Vorrei concludere bene la carriera a Cagliari. Se poi ci fosse una buona nazionale, perché no?».

Per cosa accende un cero a Santa Rita? «Per la salute, per la famiglia. Sono devoto a Santa Rita. Ho le chiavi di Cascia. Tutto è iniziato a Roccaporena col primo Cagliari».

Cosa vorrebbe per i suoi due nipotini?

«Che vivessero consapevoli di dover essere veri, leali, rispettosi».

Intervista uscita su Famiglia Cristiana 34/23





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