Ricette

Uva senza semi, distribuzione libera dalle multinazionali



Nella filiera delle uve senza semi – il top dell'innovazione varietale in Italia – non saranno più poche multinazionali (tecnicamente i “breeder”) a decidere della distribuzione, ma i produttori che, una volta acquisito il brevetto sulla varietà – attraverso il pagamento di una royalty – saranno svincolati da qualsiasi legame con l'azienda che, di fatto, ha ideato la nuova specie vegetale. La liberalizzazione è stata decisa dalla Cassazione, con una sentenza rivoluzionaria per il comparto pochi giorni fa.

Quello delle uve seedless (o apirene) è un comparto in forte ascesa, soprattutto al Sud (Puglia e Sicilia), tanto che oggi tra le prime dieci cultivar di uva in Italia, sette sono senza semi. Il filone rappresenta la punta di diamante dell'innovazione varietale nel nostro Paese e molti operatori sono pronti a scommettere che garantirà il successo della filiera sui mercati nazionali ed europei nei prossimi trenta anni.

Di fatto in Italia però la maggior parte della produzione di uve cosiddette seedless (o apirene) appartiene a poche multinazionali che, oltre a incassare una royalty per l'uso del brevetto, fino a oggi hanno imposto ai coltivatori i distributori cui vendere il prodotto: un vincolo avvertito da molti operatori come un cappio al collo, tanto da avere generato una moltitudine di contenziosi.

«La sentenza della Cassazione – spiega Massimiliano Del Core, presidente della Commissione italiana uva da tavola – cambia tutto: adesso il diritto intellettuale del selezionatore, una volta coperto attraverso il pagamento delle royalties, si limita all'atto dell'autorizzazione a piantare la varietà e non segue più anche il percorso pendente della commercializzazione: la Corte suprema ha infatti definito questo vincolo incompatibile con i principi di interesse pubblico connessi alla salvaguardia della produzione agricola».

Di fatto, però, il cordone ombelicale che ha tenuto i produttori vincolati a grandi aziende come la californiana Sun World International LLC (protagonista del caso esperto dalla Cassazione), ha garantito una serie di tutele in termini di sbocchi commerciali, difesa dalla concorrenza e ha contribuito negli anni al consolidamento di una filiera virtuosa e di un modello di business efficiente: la valorizzazione del frutto, infatti, avviene subito dopo la raccolta, quando viene immesso sul mercato con un marchio commerciale che ne promuove la valorizzazione.



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