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La memoria di Giovanni Falcone e la contraddizione tra parole e fatti



«Se succede qualcosa a noi altri continueranno». Quante volte abbiamo sentito citare questa frase di Giovanni Falcone? Tantissime. Nel gergo di quegli anni, nel mondo di chi faceva allora indagini antimafia “succedere qualcosa” non era un'espressione generica, era l'eufemismo che in quelle stanze, tra agenti e magistrati, si adoperava per intendere, senza dirselo troppo crudamente, una cosa precisa: se mi mmazzano, altri continueranno. Perché a quell'epoca così reagiva la criminalità organizzata. A volte neanche si prendeva la briga di minacciare: agiva, con mezzi violenti. E basta. La strage di Capaci nelle sue modalità è stata il culmine dell'escalation in quel senso.

Oggi, dopo 32 anni di commemorazioni, tocca interrogarsi sul senso del “continuare”. Falcone studiava e conosceva bene la criminalità organizzata, Falcone ha contribuito ad affinare gli strumenti a contrasto utili anche all'evoluzione delle mafie cui dalle stanze di chi la indaga si assiste. Ma è un fatto che quella battaglia, impervia ancora, anche se le autobombe non si vedono più perché chi le usava ha capito che sono poco redditizie e attirano l'attenzione, il dissenso dell'opinione pubblica. Mentre le mafie vivono di zona grigia e consenso sociale e lo cercano, oggi sempre più: mettendo su la faccia apparentemente rispettabile dell'impresa, corrompendo, infilandosi negli appalti, negli affari.

Tornando a Falcone, per “continuare” servono delle cose: intanto una magistratura autonoma e indipendente, la cui indipendenza non va indebolita, men che meno con riforme della giustizia che dicono di volere altro (magari tirando pure per la giacca Falcone e una sua frase estrapolata), ma che proprio quel punto rischiano di incrinare; servire una magistratura anche formalmente rispettata nella sua funzione dagli altri poteri, non continuamente accusata di secondi fini; servire una magistratura che sia messa in condizioni di indagare e contrastare efficacemente anche corruzione, evasione, riciclaggio, traffico di influenze– nel grande e nel piccolo, perché la 'ndrangheta ci insegna che è più facile far agire le pressioni nel piccolo -, con strumenti tecnologici e legislativi adeguati ai tempi, in grado di svelare il patto corruttivo per definizione occulto, perché per quelle vie oggi spesso passano i soldi delle mafie che Falcone ricordava di seguire.

Ccontrasto alle mafie significa avere in tema di appalti regole che ostacolino, o quantomeno non favoriscano, subappalti a cascata e caporalatofenomeni che spesso sono cavallo di Troia, quello sì, per l'infiltrazione mafiosa in opere pubbliche, destinati a scontare il risparmio sul costo dei materiali e sulla sicurezza sul lavoro.

Se da una parte si commemora Giovanni Falcone e dall'altra si smontano tutte queste cose, a parole lo si onora ma lo si ignora nei fatti, rendendo vano il suo sacrificio.





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