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A Kastellorizo per assaporare il blu e il senso dell’Europa


Se sia la prima isola della Grecia o l'ultima, nessuno lo sa. Dipende dai punti di vista. Qualunque sia il vostro, Kastellorizo, a 3 chilometri dalla costa turca ea 500 dalla terraferma greca, è un approdo del cuore pieno di luce stordente. Dopo tre ore di traghetto da Rodi (o 40 minuti di volo, ma la Grecia è mare e sul mare va vissuta), il piccolo porto è come un abbraccio.

Un arcobaleno di case colorate

L'isola è tutta qui, in questa prima cartolina: un arcobaleno di decine di case colorate sul mare, le colline di Mounta e Vigla alle spalle, l'ex moschea col suo minareto trasformata in museo, il castello eretto dai Cavalieri di San Giovanni nel 1300 e che diede un nuovo nome all'isola: Castel Rosso, da cui Kastellorizo. Prima era Megísti, cioè “la più grande” (dell'arcipelago che le sta intorno), anche se misura solo una dozzina di chilometri quadrati. Piccola e grande allo stesso tempo, di sicuro luogo strategico e conteso fin dagli albori, oggi un'osservata speciale del presidente turco Erdogan. Una fregata della marina greca con i motori sempre accesi e le centinaia di militari presenti – seppur in modo discreto – sono il segno di frizioni sotto traccia. «Qui è passata la storia ea noi spetta il compito di darle seguito e preservare la nostra isola», esordisce Eleni Karavelatzi, 26 anni, la grecità in viso e un'infinita voglia di turismo moderno. Nel 2019, dopo gli studi in Business Administration a Salonicco, torna a casa e fonda Visit Kastellorizo, agenzia che offre esperienze, camminate, uscite in barca a ritmi lenti e sostenibili: «Solo così salveremo Kastellorizo ​​e le daremo un futuro, offrendolo anche a noi stessi», spiega.

Nel mare blu di Kestellorizo

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La storia e il suo passato greco e turco

Il futuro certo, perché il passato, qui, è di quelli importanti: avamposto dei Dori, dominio di Rodi in epoca ellenistica, poi romani, bizantini e crociati. Possedimento ottomano dal 1552, veneziano dal 1659 al 1768, poi di nuovo sotto i Turchi, l'isola fu occupata dai francesi dal 1915 al 1921 e, infine, dagli italiani. Quegli stessi italiani immortalati dal film Mediterraneo, Oscar 1992: «Ci stavano mandando in missione a Megísti, un'isola sperduta dell'Egeo, la più piccola, la più lontana, importanza strategica: zero». Ce la ricordiamo tutti la frase del sergente Nicola Lorusso ea Kastellorizo ​​ogni angolo parla ancora del film: la casa azzurra di Vassilissa, il porticciolo di Mandráki dove arrivano i soldati italiani, la croce bianca al cimitero, la taverna Ta Platánia nella piazzetta del matrimonio sulle note di uno struggente sirtaki: «Ci siamo tutti in quel film, per noi è ancora un sogno», dice Maria Kokala, cuoca sopraffina della taverna con le sue deliziose salandourmasi, cipolle ripiene come non ne avete mai mangiate. E mostra la scritta “Mediterraneo, per informazioni rivolgersi a Chico”, il nonno di Maria, che parlava italiano e che recitava nel film come tanti anziani dell'isola: dovevano dare l'impressione di essere una terra sguarnita di giovani, tutti al fronte .

Scenario per pellicole d'autore

Come allora, Kastellorizo ​​incarna lo spirito del film: «In tempi come questi la fuga è l'unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare». Qui, si sogna con un tuffo nelle acque cristalline di Sfaghiá o della Grotta Azzurra, con la visita alla tomba licia del IV secolo aC, con una gita in barca all'isola di Ro, dove visse Despina Achladioti, eroina che, ogni mattina dal Dal 1929 al 1982, issò la bandiera ellenica, o con una passeggiata nelle vie del villaggio. Aveva 15mila abitanti nel 1910, era ricchissimo tanto da avere un quotidiano «I foní to Kastellorizo» («La voce di Kastellorizo», di cui si intravvede l'insegna su una casa del porto), ridotto a 1.500 negli anni 40, dopo saccheggi , bombardamenti e l'esplosione di un arsenale che distrusse metà delle case. Oggi sono circa 300 gli abitanti e vivono di turismo, dei sussidi del governo greco, che sa bene quanto questo lembo sul crinale dell'Europa sia strategico, e delle rimesse delle migliaia di “Kassi” che vivono in Australia. Nelle vie strette, tante case ormai ristrutturate, come “The pink house”, nella quale ha lavorato il designer greco Savvas Laz, che fa del riutilizzo delle materie plastiche la bussola della sua creatività; le chiese (sette sono intitolate a San Giorgio, che i turchi ritengono meno indigesto fra i santi cattolici perché è il protettore di cavalieri e soldati); le scuole primarie e secondarie, volute a inizio '900 dal mecenate Loukas Santrapé, che affermava la parità fra uomini e donne; le mani in bronzo usate come picchiotto su ogni porta (osservatele bene: se all'anulare c'è un anello significa che quella casa era stata un dono di nozze).

Vista dal monastero di Agios Georgios tou Vounou

La storia si inerpica anche in collina: 400 scalini – meglio se all'ora del tramonto – portano fino al monastero di Agios Georgios tou Vounou (un altro San Giorgio, qui “della montagna”), è un altopiano immenso, invisibile dal mare. Capre selvatiche a centinaia, decine di avamposti militari abbandonati e, sprofondati in una terra rossa come quella del Roland Garros, molti torchi: «La famiglia della mia bisnonna – ricorda Eleni – ha vissuto qui, nell'area di Avlónia, fino agli anni 30 , vita di fatica ma di grandi valori, e quassù dobbiamo tornare a produrre vino». Come succedeva quando la collina di Paleokastro iniziò a essere abitata. Dapprima, nel VI-V secolo aC, da avamposto di controllo sulle rotte commerciali, poi, dal IV secolo, in modo più stabile. Oggi Paleokastro è un'astronave nel blu: 60 metri di mura ciclopiche stringono i resti della città antica, quattro torri, tre chiesette di epoca successiva, alcune cisterne immense con le condutture che convogliavano l'acqua piovana. Al tramonto è un sogno dalle dita rosate, al mattino un bagno di luce che fruga negli occhi ed entra, prepotente, nell'anima.Quando si fa sera, poi, la baia diventa un mondo a parte, la Turchia scompare dalla vista e anche un senso di precarietà su questa foglia incerta dell'Europa. Le tartarughe Caretta Caretta sguazzano fino a riva, qualche bouzouki rende l'atmosfera più gustosa, come i calamari ripieni di feta da Alexandra o le katoumari, le frittelle dolci fatte con la sfoglia, da Komianos. Sta digitando il costo della cena sul pos, 20 euro, gli scappa un 2 milioni. «Con così tanti soldi non servirebbe più avere la taverna», gli dico, e lui: «Euro più, euro meno, per la felicità mi basta questo cielo di stelle». Quelle che affascinarono anche David Gilmour, chitarrista dei Pink Floyd. Nel suo album Su un'isoladedica un brano strumentale a Kastellorizo: «Ricorda quella notte,… siamo a metà strada verso le stelle».



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