Istruzione

Studenti e atleti, una dual career spesso difficile. La storia di Matteo Restivo: “mi consigliarono il professionale. Mi sono laureato in medicina quattro mesi dopo le olimpiadi” – Orizzonte Scuola Notizie


Matteo era uno studente ingombrante. Le famiglie degli altri bambini non lo sopportavano a causa dell’iperattività con la quale ha dovuto convivere per molto tempo. In prossimità del diploma i docenti gli dissero che non era portato per lo studio. Peraltro il giudizio orientativo al termine della scuola media era perché frequentasse un istituto professionale. Ma a dispetto del parere dei suoi docenti lui, oggi ventinovenne, scelse il liceo, perché il suo obiettivo era quello di studiare. Anzi: nuotare e studiare. Nuotare e studiare bene. Talmente bene da diventare un campione olimpico e un medico laureato con la lode. Per questo Matteo Restivo, 29 anni, da Udine, ha pure ottenuto dal Coni il riconoscimento di Atleta eccellente- Eccellente studente, per essersi laureato durante la stagione olimpica, quattro mesi dopo le olimpiadi.

Per Matteo Restivo nove titoli italiani assoluti, due medaglie di bronzo ai campionati europei di Glasgow nel 2018, la partecipazione alle olimpiadi di Tokio 2021. E oggi, conscio dei disagi, spesso gravi, ai quali vanno incontro gli studenti atleti nei casi in cui non riescono a trovare il sostegno dovuto della scuola, e altrettanto conscio dell’importanza della visibilità acquisita, ha prodotto un podcast intitolato Sportiva Mente. Lo ha realizzato assieme al suo collega Lorenzo Zazzeri, altro campione mondiale di nuoto protagonista dell’altra nostra intervista nell’ambito della nostra inchiesta dedicata alla dual career. Nelle intenzioni dei due campioni-dottori è palese l’obiettivo di fare divulgazione e di creare consapevolezza sull’importanza e sulla delicatezza della doppia carriera: “Vogliamo scardinare gli stereotipi che accompagnano la dual career – dicono i due campioni – e dare spunti ed esempi di come sia possibile conciliare lo studio e lo sport. Un docente che sa come sostenere un atleta-studente può fare davvero la differenza”.

Il concetto di dual-career, secondo la definizione data dall’Unione Europea, consiste nel “dare agli atleti la possibilità di avviare, sviluppare e terminare con successo un percorso sportivo di alto livello, in combinazione con il perseguimento di obiettivi legati alla formazione, al lavoro e ad altri obiettivi importanti”. Gli atleti, nel corso del loro percorso professionale, “devono affrontare la sfida di coniugare la loro carriera sportiva con l’istruzione o il lavoro. Il successo ad alti livelli nello sport, infatti, richiede allenamenti intensivi e competizioni in patria o all’estero che possono essere ardui da conciliare con le richieste e le restrizioni del sistema educativo e del mercato del lavoro”. Per evitare circostanze in cui giovani talenti siano costretti a scegliere tra istruzione o sport e tra lavoro o sport, non bastano alti livelli di motivazione, impegno, resilienza e responsabilità da parte dell’atleta, ma sono necessari specifici accorgimenti. Tali accorgimenti, detti di doppia carriera, “dovrebbero agevolare la carriera sportiva degli atleti consentendo loro istruzione e lavoro, promuovendo la realizzazione di una nuova professionalità dopo quella sportiva e proteggendo nonché salvaguardando la posizione lavorativa degli atleti”.

I progetti riguardanti la doppia carriera sono stati introdotti solo di recente nella

maggior parte degli Stati membri e delle discipline sportive. Negli Stati membri in cui questi

dispositivi sono sviluppati, mancano, a volte, solidi accordi tra il sistema sportivo ed il settore

dell’istruzione. Da qui la necessità di alcune Linee guida che agevolino il percorso degli studenti atleti, che si trovano a dover affrontare la sida della doppia carriera, nella speranza di non dover essere costretti a sceglie o una o l’altra.

Il nostro progetto – spiega oggi Restivo – coinvolge il mondo dello sport, vogliamo andare a portare il nostro modello di doppia carriera con l’esempio di chi ha fatto e fa tuttora sport e studia. Tra gli obiettivi del nostro progetto di divulgazione è di riunire persone sensibili al tema con l’idea che se si riesce a far fronte unito si potrebbero cambiare le cose potrebbero venire fuori delle idee e delle iniziative per cambiare le cose.

Matteo Restivo, per quanto tempo ogni giorno si allenava ai tempi della scuola?

“Alle medie mi allenavo tutti i giorni per due ore al giorno, al pomeriggio. Dalla terza superiore dalle 6 alle 7 di mattina, tre volte alla settimana in vasca. Al pomeriggio un’ora e tre quarti dal lunedi al sabato come tutt’ora”.

Cosa vi ha spinti a prendere questa iniziativa?

“Ci siamo accorti che sui nostri social intervenivano sempre di più genitori o ragazzi che sono in difficoltà perché si sentono ‘abbandonati’ dal sistema e riconoscono in noi un esempio per come abbiamo superato le tante difficoltà legate alla doppia carriera, per avere una parola di incoraggiamento o qualche consiglio. In tanti lamentano che il loro doppio impegno non viene valorizzato oppure che il protocollo per gli studenti atleti non sempre viene rispettato. Spesso si mette in evidenza la mancanza di motivazione da parte dei ragazzi che potrebbe portare all’abbandono sia dello sport che degli studi. E allora abbiamo detto perché non allarghiamo la nostra platea? Così abbiamo pensato a un podcast che è un medium con cui creare consapevolezza su questo tema”.

Oggi lei è un medico con la lode e un campione addirittura olimpico. Ma la sua strada fu subito in salita. Disturbava in classe e non era molto tollerato. E’ così?

“Da bambino ero decisamente iperattivo, un disturbo mai diagnosticato perché negli anni ‘90 fine non c’era la corsa alla diagnosi ma alle elementari un giorno sì e uno no disturbavo tutti i bambini quando iniziavo a annoiarmi. Ho iniziato il percorso scolastico con una scuola che non veniva incontro alla mia singolarità”

Lei era consapevole di essere iperattivo e di disturbare?

“Sì, tutte le maestre dicevano ai miei che disturbavo e questo comportava l’esclusione dalle feste. Ero ingombrante in classe e non venivo molto tollerato dalle altre famiglie”.

Ascoltando la sua storia s’intuisce come lei sia riuscito, magari grazie allo sport, a trasformare un problema evidente in una proficua risorsa.

“Il surplus di energia, l’iperattività, si è tramutata in una dote quando ho iniziato a fare sport perché il fatto di avere energia mi faceva spiccare rispetto ai miei coetanei e quindi anche in questo lo sport mi ha dato una grande mano a non sentirmi inadeguato, perché quando uno è tanto piccolo non è che ha tante capacità di controllarsi e io ne soffrivo. Poi, crescendo, questo aspetto è andato migliorando, anche se sono rimasto sempre iperattivo”.

Dopo le medie com’è andata?

“Alla fine della scuola media abbiamo fatto un percorso di orientamento e per i miei docenti dovevo seguire gli studi in una scuola professionale perché non ero portato per lo studio. Ma io avevo le ambizioni di laurearmi”

E quindi a quale scuola si iscrisse?

“Mi iscrissi al liceo scientifico, ignorando il giudizio orientativo degli insegnanti delle medie. Non è stato facilissimo ma non sono stato mai bocciato. Mi sono diplomato e successivamente ho superato il test per l’accesso alla facoltà di Medicina”.

Una bella sfida. Una sfida vinta, per giunta

“I presupposti non erano i migliori ma sentivo dentro di me di voler dimostrare a me stesso e agli altri e alla fine mi sono laureato in pari e con il massimo dei voti e la lode”.

E’ stato più faticoso conciliare i tempi con gli impegni sportivi all’università o alle superiori?

“Alle superiori. All’università ti gestisci il tempo, e scegli tu quando sostenete un esame. E poi secondo me anche il contesto è più efficace per costruire un percorso più lineare perché magari puoi posticipare l’appello se il professore te lo consente”.

All’università ci sono i protocolli per la doppia carriera?

“Ora ci sono ma io all’epoca non ho beneficiato di nessun protocollo. All’università di Firenze non c’era mai stato un campione mondiale che facesse anche lo studente. Ora ci sono anche agevolazioni economiche, tanto che queste persone non pagano le tasse universitarie ma non è che questo dopotutto agevoli granché la vita di uno studente. Sicuramente fa comodo, interviene da un punto di vista motivazionale essere riconosciuto come studente atleta, ma a parte questo attestato di stima non intervengono benefici sul piano dello studio”.

Torniamo al liceo. Com’è stato il suo rapporto con i professori?

“Ho avuto esperienze molto varie, da professori che stimavano il mio doppio impegno a docenti apertamente contrari alla pratica agonistica: ripetevano che la competizione era uno dei mali del mondo e sottolineavano come fosse uno spreco di tempo, ignorando il fatto che lo sport invece è utilissimo. Indipendentemente dai risultati vedo che tantissimi miei compagni di squadra, che svolgono professioni che vanno dal giovane magistrato all’idraulico, hanno avuto un bonus carriera legato al fatto che si è praticato sport. Le realtà lavorative premiano e riconoscono chi ha un background sportivo perché lo sport insegna valori come l’inclusione, il sacrificio, la costanza, le ambizioni, le aspettative. E questo lo noto trasversalmente, tanto che posso dire che, indipendentemente da un lavoro che uno intraprende, le ore che ha passato nelle piscine e nei palazzetti danno qualcosa in più ed è davvero triste che ci siano professori che ancora non l’abbiano recepita”.

Ha ancora rabbia per questo?

“Rabbia no, ma un po’ di dispiacere. Sono un convinto patriota, l’Italia è un paese bellissimo e vedere che all’estero ci siano esempi virtuosi e di valorizzazione degli sportivi anche da parte delle scuole e delle università mentre noi siamo fanalino di coda mi dispiace. E mi stupisce il fatto che l’istruzione non sia in grado di riconoscere quali siano i benefici dello sport per una società del domani sia dal punto di vista umano che sul piano della salute e questo lo dico da medico: una nazione attiva sportivamente è una nazione che ha valori radicati e che sta meglio dal punto di vista della salute. Se si pensa ai modelli diseducativi sui social, con influencer di vario genere, io penso che se uno deve avere qualcuno come idolo, meglio che sia un atleta che ottiene i risultati con il duro lavoro piuttosto che uno che si limita a veicolare messaggi vuoti e talvolta pericolosi”.

Con il trascorrere del tempo il suo rapporto con i suoi compagni di scuola è migliorato?

“Alle superiori andava meglio. Non sono andato d’accordo con tutti, certo, ma alle superiori ero meno fastidioso in classe. Alcuni sono rimasti tra i miei migliori amici. Il mio surplus di energia era veicolato nel distrarmi ma avevo imparato a non distrarre gli altri. Ero già maturo per capire che non era una cosa giusta da fare”.

Ci elenchi alcuni suoi risultati sportivi

“Nove titoli italiani assoluti, due medaglie di bronzo ai campionati europei di Glasgow nel 2018, la partecipazione alle olimpiadi di Tokio 2021, il premio “Atleta eccellente-eccellente studente” del CONI nazionale in cui sono stato il primo classificato per essermi laureato durante la stagione olimpica, quattro mesi dopo le olimpiadi”.

Come si riesce a gestire tanto proficuamente una doppia carriera come la sua?

“La massimizzazione dei tempi uno lo impara fin da piccolo. E’ una tecnica che si affina. Le due o tre ore che uno riesce a studiare ogni giorno sono una performance mentale affinata nell’arco di anni in cui il tempo per studiare è poco ma deve bastare. Poi lo sport aiuta a costruirsi una sicurezza per cui alle verifiche o alle interrogazioni o agli esami si ha meno soggezione e maggior sicurezza nei propri mezzi”.

Questo lo ha riscontrato anche all’università?

“All’università e alle superiori. All’università c’erano persone più preparate di me ma agli esami annaspavano per la soggezione che gli procuravano il professore o la platea: uno sportivo questa cosa non ce l’ha. Un ragazzino che fa sport impara a gestirla fin da subito”.

Ha potuto godere sempre dell’appoggio della sua famiglia?

“Ho avuto genitori molto comprensivi, però mi hanno dato molta responsabilità. Loro mi conoscevano e sapevano che i risultati a scuola erano mediocri non per scarsa attitudine ma solo per l’iperattività che mi portava a esser distratto e annoiato dopo mezz’ora. Hanno sempre rimesso i miei risultati nelle mie mani: mi dicevano sempre: se prendi un brutto voto non è colpa dei docenti ma è solo tuo che non hai studiato o che ti sei distratto. Per il futuro mi hanno sempre motivato sul fatto che studiando ce l’avrei fatta. Mi dicevano: ora vali 6 perché ti stai impegnando da 6, però se ti impegnerai di più potrai ottenere quello che vuoi. Non c’era quella moda di dare la colpa ai professori brutti e cattivi: il messaggio era che i professori hanno sempre ragione, se uno vive con la scusante che la colpa è degli altri crescerà con l’idea che non si è mai responsabili. Può darsi che uno incontra un professore ostile ma non è possibile che siano tutti ostili. Se succede vuol dire che è lo studente”.

Nel suo futuro ci sarà la professione medica?

“Io ho iniziato nonostante laureato nel 2021 mi sono iscritto a un master universitario di secondo livello in dermatologia estetica e ho iniziato la professione da gennaio perché fino a quel momento ero nell’Arma dei Carabinieri ed essendo un dipendente pubblico non potevo fare anche il medico. A febbraio mi sono dimesso. Ora la mia doppia carriera è questa: prima studente atleta ora medico atleta.”

Cosa l’ha spinta verso la specializzazione in estetica?

“Ho deciso di non iscrivermi a una scuola di specializzazione che prevedesse orari incompatibili con l’attività sportiva, volevo ancora continuare con lo sport. Mi sono avvicinato a un master e mi sono subito appassionato alla professione estetica”.

Torniamo per un’ultima volta al suo passato da studente e mandi un messaggio, da medico e da atleta, a chi convive in classe con l’iperattività

“L’iperattività si può gestire. Se uno capisce come funziona il proprio cervello e la propria indole può diventare un pregio, nel mio caso lo è diventato. Spesso si avverte di voler fare troppe cose tutte insieme e si finisce con il non portarle tutte a compimento. Ho sempre trovato indispensabile lo sport, anche ai tempi delle superiori, per sfogare questo surplus di energia che mi penalizzava nelle attività quotidiane. E quando uno trova la propria dimensione, l’iperattività può diventare un pregio”.



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