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«Siamo staffette di luce, buttiamoci e il Signore fa il resto»: un inedito di padre Policardi, indimenticabile parroco di Lampedusa



“U parrinu” può fare tanto, soprattutto in un luogo di frontiera come Lampedusa chiamata ogni giorno a misurarsi con il dramma del nostro tempo, le persone in viaggio su barchini o gommoni in cerca di salvezza, i corpi dei bambini recuperati in mare o come nel caso dell'ultima arrivata al molo Favaloro, una neonata di sei mesi morta di fame tra le braccia della mamma.

La tragedia che ogni giorno si manifesta davanti ai nostri occhiincapaci di affrontarla perché come direbbe u parrinu nostru mancano le vocazioni. U parrinu nostroche dal siciliano significa “il prete nostro” è nell'isola padre Giuseppe Policardi il cui corpo esattamente un anno fa è stato traslato con un momento solenne iniziato dal cimitero di Cala Pisana fino al Santuario della Madonna di Porto Salvo, il più a Sud d'Europanel mezzo del Mediterraneo centrale.

Un luogo di spiritualità circondato da un giardino incantato che proprio Padre Policardi curava con il suo amore verso la natura, prendendosi prima cura dei malati, della sua gente, dei primi migranti che cominciavano a sbarcare sull'isola. Per 48 anni fu u parrinu nostru, lui che sin da giovane sognava di essere pastore nella sua isola.

Nel giorno del primo anniversario della traslazione del corpo e della morte avvenuta il 12 giugno del 1998, Giuseppe Fragapane, custode del Santuario insieme all'associazione Padre Policardi hanno voluto rendere noto uno dei tanti scritti inediti che sarà al centro della veglia di preghiera alle 21,30 nel santuario, guidata dal vice parroco della parrocchia di San Gerlando Pastory Mgeni insieme a tutti i fedeli, ei gruppi religiosi della comunità, azione cattolica, movimento dei focolarini e Rinnovamento dello spirito santo

Davanti all'indifferenza, all'inasprimento dei comportamenti umani, al dolore di chi perde la vita sotto i nostri occhi Padre Policardi ci fa riflettere sul significato ultimo della «vocazione» o «chiamata di Dio».

In una pagina battuta a macchina u parrinu nostro scrive: «Ogni uomo ha la sua vocazione. Vi è una vocazione generale di tutti gli uomini ed un'altro particolare di ciascun uomo». Una vocazione soprannaturale che sta accanto a quella naturale: «perché sia ​​Cristo a vivere in noi», perché ad un cristiano «tutta la grandezza viene dalla sua intima relazione con Dio, attraverso Gesù Cristo, per mezzo della grazia». Così «dopo che Cristo ci assegna una missione in suo nome» il cristiano non può più tirarsi indietro e – esortare a più riprese Padre Policardi – bisogna «buttarsi». «Buttarsi con coraggio negli impegni di apostolato. Buttarci nei nostri doversi a cui ci chiama la nostra vocazione, puntando la grazia su Gesù. Buttarci, e il Signore farà il resto».

Perché prima di tutto bisogna essere leali e dire le cose come stanno: «Non avevi diritto alla vita e Dio te l'ha data; non avevi diritto al perdono, dopo il peccato Dio te l'ha dato; non avevi diritto all'amicizia di Dio; Dio per donartela è morto in Croce».

Così Padre Policardi ci ricorda «che ognuno di noi è un episodio, una staffetta di luce» e riprendendo San Paolo invita a proclamare, insistere, riprendere, esortare.

Qualsiasi sia la vocazione dell'uomo questa non può prescindere dalla carità: «la regina delle virtù, senza la quale non si può dare testimonianza e quindi fare apostolato, seguendo la propria vocazione».

Un invito, una riflessione, un monitor, sembra volerci dire tu parrinu davanti a una chiesa che a Lampedusa è chiamata a trovare le sue coordinate nella frontiera, lasciandoci guidare dalla Madonna di Porto Salvo, da Maria, stella del mare.





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