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Gimbo Tamberi e Jannik Sinner, così diversi così uguali


Gianmarco Tamberi e Jannik Sinner. Non potrebbero somigliarsi di meno e insieme non potrebbero somigliarsi di più. Uno ha l'estro, l'altro aplomb. Uno esterno le emozioni senza rito, fino a denudarsi; l'altro esibisce un'apparente imperturbabilità, comunque vada dentro nulla si vede di fuori. Uno è la teatralità fatta persona, l'altro il luogo geometrico del basso profilo e dell'autocontrollo. Gimbo trascina i giovani dell'atletica con i discorsi ei con i post oltreché con l'esempio, Jannik fa lo stesso con quelli del tennis, dimostrando soltanto a fatti che anche venendo da un paesello abbarbicato sui monti si può dominare il mondo.

Non vedremo mai Sinner (cui Fc dedica la copertina di domani) in campo disperarsi, esultare, preparare un colpo di teatro in anticipo come la trovata delle molle nelle scarpe e neanche abbracciare il presidente della Repubblica in quel mondo, facendo perdere un'inezia di aplomb puro a Sergio Mattarella che è la sobrietà incarnata e che l'11 giugno all'Olimpico davanti all'incredibile terzo oro europeo di Tamberi sembrava visibilmente emozionato. Jannik si concede al massimo un pugnetto in rimonta, più di autoricarica che di esultanza; quando vince mostra appena un sorriso tratto e la sua soddisfazione interiore si vede appena. Se dentro l'anima gli fa una capriola non è dato di vedere, solo di intuire. E se si dispera nel profondo non lo sapremo mai.

Tamberi invece si esponea costo di scorticarsi. Chi non ha pensato dopo due errori tutt'altro che di misura a 2.29 che non sarebbe mai andato oltre la delusione di un bronzo, dopo aver detto il giorno prima: “sono in forma stratosferica”, in barba (mezza?) a ogni scaramanzia ? Chi non ha pensato che sarebbe stato meglio mettere un po' le mani avanti?

Ma Tamberi è Tamberi, e non per caso ha un albo d'oro lungo così: quando si trova sull'orlo del baratro appeso appena per la punta delle dita ha lo scatto che lo tira su e lo riporta in vetta alla gara, come è capitato all'olimpico con quell'ultimo tentativo a 2.29: l'ultima spiaggia tra la più cocente delle delusioni e l'apoteosi del terzo titolo europeo. E Sinner è Sinner esattamente per la stessa caratteristica: i suoi punti migliori vengono sulle palle break, sul match point avversario, quando serve la mente fredda a guidare il gesto.

Non sono molte le cose in comune tra una partita di tennis, che può cuocerti per ore fisicamente in campo prima del punto decisivo ma ti dà un margine di recupero, è una gara di salto in alto che ti sfinisce di energie nervose, perché in tre ore salti tre minuti effettivi bene che vada e per il resto rosoli a fuoco lento nell'attesa cercando di trovare il giusto mezzo tra l'ansia che divora e la deconcentrazione in agguato. E se sbagli ogni errore può pesare senza rimedio. Ma poi arriva il momento in cui le situazioni si somigliano: accade quando arriva l'orlo del baratro e bisogna decidere se chi sta in gara ha il coraggio di sfidarlo o trema. Gimbo e Jannik si affacciano sempre e non tremano mai, in questo si somigliano come gemelli diversi. Ed è la ragione per cui sono entrambi numeri uno: i migliori al mondo in quello che fanno.

Ma c'è anche un altro tratto comune alla loro innegabile diversità: sanno distinguere quali sono le cose personali da proteggere e le cose importanti che separano la vita dalla gara: appena diventato campione del mondo lo scorso anno dopo la frattura con il padre ormai ex Allenatore, Tamberi ha dedicato il risultato al genitore ammettendo che non sarebbe arrivato lassù senza di lui. Ma quando gli hanno chiesto di più ha replicato: «Non sono cose di cui sia il caso di parlare in Tv». E dopo la gara dell'11 giugno a caldo la dedica è stata per un membro del suo staff che non sta bene. Quando si tratta di valori e legami veri, anche l'istrione Tamberi diventa serio, quasi come Sinner.





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