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Paola Egonu e il generale Vanncci, frasi censurabili al di là del Codice penale



«Anche se Paola Egonu è italiana di cittadinanza, è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l'italianità che si può invece scorgere in tutti gli affreschi, i quadri e le statue che dagli Etruschi sono giunti ai giorni nostri».

Questa frase contenuta nel primo libro del generale Vannacci rappresenta il casus belli. «Ben può essere valutata come impropria e inopportuna», scrive il Gip di Lucca nel provvedimento che archivia il procedimento per diffamazione a carico del Generale Vannacci aperto in seguito a una querela di Paola Egonu, anche «in merito al riferimento (che appare ingiustificato) a una specifica persona che legittimamente si è doluta di essere chiamata in causa».

Ma, scrive il Giudice, «non risulta tuttavia emergere un superamento del limite della continenza che possa dirsi indicativo della volontà, da parte dell'indagato, di offendere gratuitamente la reputazione» di Paola Egonu, «di denigrarla, di sminuirne il valore, di portare un attacco indebito alla persona». Ulteriori indagini, come richiesto dal legale della campionessa, – che non condivide e annuncia altre azioni ndr. – scrive ancora il gip «non tentativi esperibili con profitto e utilità concreta tale da poter condurre una diversa valutazione in ordine alla sostenibilità dell'accusa in giudizio».

Non si tratta di dire, come qualcuno ha affermato, che il generale «ha ragione», il provvedimento giudiziario, com'è normale che sia, non ha il compito di valutare piani diversi da quello penale, né di entrare nel merito della fondatezza o meno di presunte definizioni di “italianità”, anche se si potrebbe scommettere, vincendo “facile”, che non pochi storici dell'arte e antropologi avrebbero qualcosa da eccepire sul presunto genotipo italico della “Venere” di Botticelli, certo verosimilmente più vicina allo stereotipato canone estetico rinascimentale che alla figura reale dell'italiana media del Quattro-Cinquecento.

Sul piano tecnico, compito dei giudici era stabilire se quella frase, inopportuna e discutibile assai, oltreché un po' maldestramente ritrattata in una lettera di scuse, che non ha sortito esiti positivi in ​​fase di mediazione, integrasse anche il reato di diffamazione, che per sua natura, e per il suo stare in bilico tra principi costituzionalmente tutelati, fatica spesso ad appoggiarsi a regole dai contorni netti.

«Nel percorso logico-giuridico che un giudice deve compiere (riguardo a una eventuale diffamazione ndr.)» – scrivono Caterina Malavenda, Carlo Melzi D'Eril e Giulio Enea Vigevani, in un prezioso saggio intitolato Le regole dei giornalisti“I l primo passaggio riguarda proprio l'idoneità lesiva del contenuto diffuso. Se non lo è, il processo si concluderà con il rigetto delle domande dell'attore o il proscioglimento dell'imputato. In caso contrario, il ragionamento deve proseguire, con l'ausilio degli elementi di prova forniti dalle parti». Il caso Egonu-Vannacci a questo proposito si è fermato a un passaggio precedente: il Gip ha infatti accolto la richiesta del Pm di archiviare il caso (e sarebbe interessante capire se chi accusa i giudici di essere appiattiti sui Pm come pretesto per separare le carriere , se ne dolga anche in casi come questi favorevoli all'indagato).

Il fatto che la stessa Procura, che in caso di rinvio a giudizio avrebbe avuto l'onere di sostenere l'accusa, abbia per prima chiesto l'archiviazione, fa pensare che gli stessi Pm abbiano valutato che quanto evidenziato dalle indagini e contestato nella querela non avrebbe retto al vaglio di un processo, in base agli orientamenti giurisprudenziali. Va anche ricordato, cosa che si dice chiaramente nel provvedimento, che la riforma Cartabia ha anche assegnato al Gip, rispetto alla procedura precedente, il compito di un vaglio più rigido: non basta più che le prove raccolte siano idonee a sostenere l'accusa in un processo (cui poi spetta il compito di stabilire l'imputato sua colpevole del reato contestato), ma è necessario che portino a una ragionevole prognosi di condanna.

Nel caso Vannacci-Egonu si è valutato che questi elementi non ci fossero, si può discutere, come pure hanno fatto i legali della campionessa, se la decisione sia condivisibile o meno, ma resta il fatto che il diritto penale non è (né dovrebbe essere ) l'unico metro di giudizio in democrazia. Dire o scrivere cose inopportune, scientificamente o storicamente periclitanti, eticamente discutibili, è un'azione che resta censurabile ad altri livelli: culturale, etico, politico, di opinione pubblica, quand'anche non bastasse a fondare una condanna in Tribunale.

Sul piano sportivo poi nessuno potrebbe onestamente negare che Paola Egonu, nata, cresciuta e formata in Italia, vesta la maglia nazionale non solo con pieno diritto ma anche con pieno merito, quantificabile a numeri ea punti nella qualificazione olimpica appena conquistata con un'egregia Volley Lega delle Nazioni.





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