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Maturità, sei tracce che avrei voluto anche io



Come di consuetudine, da trent'anni a questa parte, il giorno dello scritto di italiano della maturità, vado a cercare già di prima mattina le tracce uscite. Lo faccio un po' per deformazione professionale, un po' per nostalgia, perché non me la sento ancora di spezzare il filo rosso che mi lega alla studentessa impaurita che nel giugno del 1994 si accingeva ad affrontare il tema di italiano del suo primo vero esame , quello che l'avrebbe resa maturazionefinalmente adulta.

Le aspettative erano alte – italiano era la mia materia da sempre – e desideravo ardentemente qualche traccia sul Novecento. E invece uscì Manzoni, la questione della lingua e avrei voluto piangere per la disperazione.

Quando stamattina ho scoperto che erano usciti Pirandello e Ungaretti, ho provato una fitta di invidia, lo ammetto: quanto avrei voluto, allora, che toccassero a me! Non ho potuto fare a meno di pensare a quanto siano fortunati i maturandi di questa mattina. Le sette tracce proposte sono una più stimolante dell'altra, sono in linea non solo con ciò che hanno studiato i ragazzi nei cinque anni delle superiori ma soprattutto con i tempi che vivono. Avrei avuto l'imbarazzo della scelta al posto loro.

Penso che tutti i candidati avranno avuto la possibilità di trovare la proposta che fa più al caso loro, di esprimersi ciascuno secondo le proprie inclinazioni dato che le tematiche sono varie e soprattutto contemporanee, presentano numerosi collegamenti e hanno il vantaggio di essere trasversali. Notevoli e significati sono i rimandi al tempo presente: la guerra e il coraggio di vivere, ieri come oggi, in Ungaretti, e poi il valore del silenzio. Temi che si prestano a una riflessione sull'homo faber suae fortunaeartefice del proprio destino, mente creativa e immaginativa che avrebbe tutte le carte in regola per, almeno in potenza, liberarsi attraverso le proprie “macchine” e invece si incatena sempre più nella propria condizione di schiavitù, incapace di vedere oltre il qui e ora , nella più rassicurante zona di omologazione e di comfort.

Anche la traccia sull'elogio dell'imperfezione mi ha molto colpita: credo sia una di quegli spunti che permette di elaborare delle riflessioni profonde sull'essenza di ognuno di noi, perché tocca il delicato tema della fragilità, della diversità, dell'accettazione. In un mondo sempre più omologato e performante, parlare di queste tematiche è veramente un atto doveroso, soprattutto con i giovani, così sensibile in età evolutiva allo sguardo altrui. I nostri studenti sono la generazione travolta dalla visibilità a tutti i costi, dalla competizione, eppure sembrano tutto tranne che infrangibili, a dispetto della disinvoltura che ostentano sui social. L'impressione è che abbiamo tutti, non solo i nostri ragazzi, perso un po' il senso della misura, incapaci di accettarci con i nostri limiti e – sì, diciamolo! – i nostri difetti: per farlo servirebbe un'onesta e coraggiosa discesa nei nostri inferi personali, che ci allontani dal rischio tossico di idolatrare una perfezione assolutamente innaturale.

Ho notato poi che le tracce sono ben collegate fra loro. La macchina di Pirandello, che sovrasta l'inventore, si rapporta alle armi nucleari della Guerra Fredda. Uomo dominato o dominatore, dunque? Qual è la parola chiave? A mio parere è la paura. Novello Ulisse, l'uomo cerca la conoscenza senza porsi dei limiti, spingendosi sempre oltre, generando di conseguenza problemi etici oltre che esistenziali. Infine, la relazione tra i sociali e la diaristica. Se un tempo riempire le pagine del diario era concepita come un'attività intimista, privatissima e articolata in un pensiero fluido, oggi scrivere di sé non è più un'attività volta alla cura e alla custodia dei propri segreti. Oggi l'utilizzo dei social porta, al contrario, a esporsi agli occhi e ai giudizi altrui, ad apparire ea cercare approvazione. Da una situazione dove tutto era conservato gelosamente dentro siamo arrivati ​​a una messa in piazza dove tutto vive fuoriin un folle e alienante ribaltamento del sé.

Ecco, davvero mi è parso che ognuna delle tracce fosse essere concatenata in qualche modo con l'altra, nell'ottica di stimolare un pensiero su chi siamo e su dove stiamo andando, ma soprattutto su Venire stiamo andando, come ci muoviamo all'interno di una strana solitudine che ci allontana da noi stessi e dal nostro vero sentire, dai nostri desideri più intimi. Questo penso sia il vero senso – il senso letterale – della maturitàieri come oggi: un'occasione per pensarci e per reimmaginarci come vorremmo, sia come individui sia come collettività.

Francesca Maccani. Trentina di origine, vive a Palermo dove insegna letteratura all'Istituto Comprensivo G. Marconi. Nel 2017 ha scritto il saggio La cattiva scuola (Tlon Edizioni) a quattro mani con Stefania Auci, con cui le autrici hanno vinto il premio Donna del Mediterraneo. Si è poi dedicato alla narrativa. Tra i suoi libri Le donne dell'Acquasanta e Agata del vento (editi da Rizzoli).





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