Music

Oggi “(Who’s Afraid of) the Art of Noise?” degli Art Of Noise compie 40 anni


Esattamente quarant'anni fa i misteriosi Arte Del Rumore – più che una band, un progetto nato dall'incontro fra quattro musicisti/produttori illuminati (Anne Dudley, JJ Jeczalik, Gary Langan e Trevor Corno) e uno dei più importanti giornalisti/critici musicali britannici, ovvero Paolo Morley – regalarono al mondo un piccolo capolavoro che, ancora oggi, risuona con la stessa freschezza e audacia dei bei tempi andati: l'immarcescibile “(Chi ha paura di) l'arte del rumore?”.

Era il 1984: un'epoca a dir poco dorata per il pop inglese che, nonostante gli innumerevoli trionfi, stava cercando ancora nuovi orizzonti e vie di sviluppo. Tra i principali autori del cambiamento ci furono proprio gli Arte Del Rumore che, insieme ad altri nomi pesanti dell'etichetta ZTT Records (Frankie va a Hollywood, Grace Jones e Propaganda su tutti), iniziarono a rompere le convenzioni del mainstream al fine di ridisegnare i confini del cosiddetto radio-friendly.

Al centro della rivoluzione degli Arte Del Rumore c'erano la drum machine e il Fairlight CMI. Il “primo sistema di workstation audio digitale commercializzato” (definizione da Wikipedia) o, per essere più chiari, un sintetizzatore/campionatore che non solo ridefinì per sempre le tecniche di produzione della musica elettronica, ma aprì a nuove, inaudite dimensioni di creatività sonora .

Uno strumento quasi fantascientifico per la prima metà degli anni '80 – complesso, ingombrante e dai costi proibitivi – che gli Arte Del Rumore utilizzarono come un vero e proprio pennello per dipingere su una tela smisurata di pop sperimentale. Con il Fairlight ogni suono, ogni rumore poteva essere catturato, manipolato e trasformato in un tassello di questa nuova forma d'arte.

Per la loro creatura pop/avanguardistica Dudley, Jeczalik e compagni trassero ispirazione dalle provocazioni del Futurismo e dal nonsense del Dadaismo, due movimenti artistici che costruirono le loro fortune sulla pura provocazione. Il loro obiettivo era chiaro: creare una proposta musicale innovativa e sconvolgente (ma non eccessivamente complessa) partendo dal riutilizzo di frammenti sonori recuperati da opere altrui.

Questi brandelli ritmici e melodici, manipolati a dovere dai synth e dal Fairlight, diventavano elementi di collage (strumentali o semi-strumentali) perennemente in bilico tra sperimentazione e accessibilità. Ogni traccia dell'album è un viaggio sonoro ricco di ritmi ballabili, motivetti appiccicosi e ritornello stranamente orecchiabili; gesti di sfida scagliati contro le convenzioni del pop tradizionale al fine di catturare l'attenzione dell'ascoltatore.

Canzoni – pastiche come “Close (To The Edit)”, “Beat Box” e la celeberrima “Moments In Love” sono la dimostrazione lampante di come la tecnologia possa essere utilizzata non solo per creare musica sintetica, ma anche per esplorare territori espressivi carichi di pathos e di enorme suggestione. Il Fairlight CMI permetteva di campionare qualsiasi suono – da un colpo di tamburo a un frammento di conversazione, dal rombo di un motore allo schianto di un'auto – e di riassemblarlo in un contesto musicale alieno, completamente inedito, spesso stravolgendolo in maniera tale da rendere irriconoscibile.

Gli Arte Del Rumore usarono questo straordinario strumento meglio di tanti altri loro colleghi, costruendo una base di partenza per l'elettronica moderna e anticipando tutta una serie di tendenze che sarebbero emerse di lì a poco. Questo approccio pionieristico influenzò una nutrita generazione di musicisti. Fra i più noti, impossibile non citare i Prodigio: il ricorrente EHI! che troviamo in “Firestarter”, infatti, altro non è che un sample rubato da “Close (To The Edit)”.

L'eredità di “(Chi ha paura dell'arte del rumore?”), quindi, va oltre la semplice innovazione tecnica. Gli Arte Del Rumore dimostrarono che gli strumenti digitali potevano dar vita a esperienze multisensoriali in grado di sfidare le aspettative e aprire possibilità precedentemente inimmaginabili. La loro capacità di fondere il pop, la dance, l'hip hop e il funk con l'avanguardia pura e dura – di creare collage sonori che erano al contemporaneo caotici e strutturati, articolati e accattivanti – rimane un punto di riferimento per chiunque, in ambito musicale, voglia spingersi oltre i limiti del convenzionale.

Quarant'anni dopo la sua pubblicazione, “(Chi ha paura dell'arte del rumore?”) resta un'opera straordinariamente affascinante; un esempio brillante di come la tecnologia e l'arte possano unirsi per creare qualcosa di veramente vivo e rivoluzionario. Gli Arte Del Rumore, quasi fossero dei punk dotati di computer e sintetizzatori, non avevano paura di osare, di provocare e di andare controcorrente. Celebriamo non solo l'album, ma anche la filosofia creativa di un manipolo di artisti che continuano a stupire e ispirare.

Dati di pubblicazione: 19 giugno 1984
Tracce: 9
Lunghezza: 41:15
Etichetta: ZTT Records / Isola
Produttori: Arte Del Rumore
Elenco tracce:

Il tempo della paura (Chi ha paura)
Beat Box (Diversione Uno)
Istantanea
Chiudi (alla modifica)
Chi ha paura (dell'arte del rumore?)
Momenti d'amore
Ricordo
Come uccidere
Realizzazione



Source link

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *