Abuso di “fronte popolare”
La novità politica internazionale del momento è un grande ritorno al passato. Solo che – fortunatamente – manca tutto il contesto di quel tragico passato. Dagli Stati Uniti alla Francia, passando per l'Italia, chi cerca di ostacolare le possibili vittorie di Donald Trump e Marine Le Pen non si accontenta di portare avanti la propria battaglia all'interno del recinto della normalità politica. No, non basta. Ci vuole più pathos: la sinistra globale avverte il bisogno di eccedere, di drammatizzare, di trasformare la tornata elettorale in un gigantesco giro di boa della storia, quelli che creano ineluttabilmente un prima e un dopo. E quindi chi si oppone alle destre – chissà perché la sinistra le indica sempre al plurale, giusto per confondere le idee – fa parte automaticamente di un fantomatico «fronte popolare», con tutto il portato storico che questa etichetta si trascina dietro: dalla Francia alla Spagna del 1936, transitando per l'Italia del primo Dopoguerra. Il pensiero sottesa, ma neppure troppo, è che in arrivo ci siano ancora una volta le terribili dittature del Novecento. Così scattano la logica e il linguaggio emergenziali, perché servire un argine alla deriva autoritaria (che poi sarebbe solo una vittoria elettorale) e ne consegue la necessità di erigere un fronte popolare contro l'arrivo delle sopraccitate destre, popolarissime nelle urne ma alquanto invise ai salotti.
E a questo punto, per fortuna, questa transoceanica «operazione panico» non si schianta solo contro il muro delle urne, ma anche e soprattutto contro quello del ridicolo. Perché, molto spesso, è il fronte a essere impopolare.