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Eccessi, sfide e nostalgia tra le mille luci di Las Vegas


Benvenuti a Sin City, la città degli eccessi. Il regno del kitsch più sfrenato, dei colori sgargianti, delle luci accecanti, della girandola di sosia più o meno improbabili, delle notti infinite nel segno delle fiches. Ma Vegas (gli affezionati lasciano cadere volentieri l'articolo) è anche sede di grandiosi concerti, vorticose manifestazioni artistiche e inaspettate magie nel deserto. A tutto questo oggi aggiunge una impensata vocazione gastronomica. Non a caso, il 5 giugno il Wynn ha ospitato la cerimonia di svelamento dei World's 50 Best Restaurants 2024, la classifica che fa da bussola al fine dining internazionale, che ha incoronato i tre cuochi – tutti allievi del mitico Ferran Adrià – del ristorante Disfrutar di Barcellona.

La Regina del Nevada

Ma cosa riserva la regina del Nevada a chi non si accontenta di tentare la fortuna al tavolo del blackjack o aggrapparsi al leva della slot machine? Qualunque sia il motivo per cui si giunge a Las Vegas, lo Strip è meta obbligatoria. Superato il cartello “Welcome to Fabulous Las Vegas” lungo il Boulevard South, si apre l'arteria più iconica della città, con i suoi luoghi simbolo: le fontane del Bellagio (con quella, grandiosa, di cioccolato), la torre Eiffel del Paris , la piramide e la sfinge del Luxor, il Canal Grande del Venetian. Entri in uno dei loro immensi saloni e sei catapultato nell'immaginario hollywoodiano, è subito Ocean's Eleven e Pacchetto di topi. Un altro elemento costante di richiamo alla città del carnevale perenne sono le luci della notte. Molti dei neon più emblematici dell'epoca d'oro dei casinò sono stati prodotti dalla Young Electric Sign Company, azienda di Salt Lake City che ha mantenuto per decenni un deposito a Las Vegas, oggi visitabile e conosciuto come The Neon Museum: un ampio terreno diventato, nel corso degli anni, l'ultima dimora di alcuni insegne simbolo della storia della città, come la lampada di Aladino, originale della prima versione dell'Aladdin Casino, il Binion's Horseshoe, il Silver Slipper e il Golden Nugget. Non lontano dallo Strip, in un edificio senza pretese, si trova invece la Pinball Hall of Fame, il regno dei flipper: un tripudio di luci lampeggianti, campanelli tintinnanti e pulsanti che gorgogliano. Più di 200 flipper, spesso ancora perfettamente funzionanti, per la gioia nostalgica di un amarcord universale. Un altro tuffo vintage è offerto al D Las Vegas Casino, dove si può giocare al Sigma Derby, pista meccanica per le scommesse sui cavalli, l'ultima del suo genere. Ai tempi d'oro si scommettevano 25 centesimi su dei cavalli meccanici, per seguirli nella corsa lungo una pista in miniatura e si arrivava a vincere da due a 200 volte la puntata. Il Caesars aveva una versione con le bighe, il Luxor i cammelli.

Gli itinerari

Stufi di passare da un casinò all'altro? Esaurite le classiche gite al Grand Canyon ci si può spingere fino all'incredibile giardino dei cactus Ethel M, dedicato a Ethel Mars, la “madre” dei cioccolatini M&M's: oltre 300 specie di cactus e piante grasse ne fanno la più grande collezione del Nevada e una delle maggiori al mondo. Area 15 invece è un caleidoscopico magazzino delle meraviglie che offre esperienze come immersioni cinematografiche, mostre d'arte interattive, vendita giochi in realtà virtuale. Per l'arte più istituzionale si deve tornare in città. Nel 2013 Louis Vuitton ha commissionato a James Turrell un'permanente da posizionare in uno spazio nascosto installazione al quarto piano del suo showroom: chiamata “Akhob”, un vocabolo dell'antico Egitto che si suppone significati “acqua pura”, l'opera consiste in aperture circolari che conducono a due enormi camere invase da quelli che Turrell definisce “campi di luce”. Quanto a schermi luminosi però nulla batte gli 1,2 milioni di Led che rivestono The Sphere, l'ultimo immenso progetto di Vegas: con i suoi 111 metri di altezza la Sfera incombe sulla città, più alta della Statua della Libertà, e ospita concerti imperdibili.

Se il gioco d'azzardo e l'intrattenimento restano la cifra di questo luogo bizzarro, oggi sta crescendo anche l'interesse per l'universo gastronomico. C'è ancora chi pretende di pagare un hamburger con le fiches, ma aumenta l'offerta rivolta a chi sa distinguere cibo e bevanda di qualità. All'inizio degli anni Cinquanta Las Vegas era in piena espansione e nel vicino sito di test nucleari del Nevada il cielo si puntellava di funghi vaporosi. Joe Sobchik e la moglie Virginia nel 1952 aprirono l'Atomic Liquors, dove Barbra Streisand, Clint Eastwood e Frank Sinastra erano habitué e che si confrontano in molte scene del film di Scorsese Casinò. La bistecca d'autore si gusta invece alla Steakhouse Golden Steer, locale che risale al 1958, sulle cui pareti rivestite in legno spiccano dipinti del selvaggio West e vecchi fucili, frutto di pagamenti in natura di antichi ospiti. Era il posto preferito da Elvis dopo lo spettacolo, appuntamento serale per Marilyn Monroe e Joe DiMaggio e gateway di Tony Spilotro, il gangster che gestiva i casinò per conto di Al Capone e che si intrufolava dalla porta sul retro per eludere i poliziotti. Ed è famoso anche per la leggendaria Caesar Salad e Martini in bicchieri ampi come piccole vasche da bagno. Per chi non cerca memorabilia l'indirizzo giusto è invece Aburiya Raku, autentica cucina giapponese: il sashimi è freschissimo, la griglia alimentata da carbone binchotan importato da Tokyo e la lista di sakè imponente. Da Herbs & Rye si va soprattutto per i cocktail di Nectaly Mendoza, che ha organizzato un menù dei drink per epoche, dall'età dell'oro al proibizionismo, passando per gli anni del Rat Pack fino al boom del Tiki polinesiano. Il Martinez, elegante cocktail con gin, vermut, amari e una ciliegia al maraschino, era una novità alla fine dell'Ottocento, mentre la morbida Piña colada è nata insieme al primo singolo di Elvis Presley.



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