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Quella morte assurda e senza dignità


Il suo nome è Satnam Singh. Era, perché il trentunenne di origine indiana che lunedì pomeriggio è rimasto coinvolto in un tremendo incidente sul lavoro in un'azienda agricola di borgo Santa Maria, nella periferia di Latina è morto. E questo è accaduto anche e soprattutto perché lui, e la moglie che lavorava oltre 10 ore nei campi della provincia laziale con lui era “braccia invisibile”. Utili ai loro caporali – che la donna nelle interviste rilasciate nelle ultime ore ai quotidiani ha chiamato più volte «padroni» – che una volta che l'uomo ha perso il braccio in un macchinario avvolgiplastica, invece di soccorrerlo, lo hanno abbandonato davanti la sua abitazione con il braccio tranciato, poggiato sopra una cassetta utilizzata per la raccolta degli ortaggi. Portato d'urgenza all'ospedale San Camillo di Roma, è morto.

«Qui non siamo solo di fronte a un grave incidente sul lavoro, cosa già di per sé allarmante ed evitabile, qui siamo davanti alla barbarie dello sfruttamentoche calpesta le vite delle persone, la dignità, la salute e ogni regola di civiltà», aveva affermato Hardeep Kaur, segretaria generale Flai Cgil Frosinone Latina, che ha per prima reso noto l'episodio.

Un incidente sul lavoro di un migrante che parrebbe irregolare – sul tema indaga la magistratura – circondato dal silenzio della politica, compresa la il premier Giorgia Melonieletta proprio nella circoscrizione di Latina.

Don Bruno Bignami.

Don Bruno Bignami.



«Un silenzio assortito ma che non stupisce: la politica da anni ha fatto della questione migranti un tema divisivo e non umano e umanitario. Oh, lavorativo. E come spesso accade, quando si viene a contatto con gli occhiali dell'ideologia e non con gli occhi dell'umanità si finisce per generare mostri. Alcune normative hanno al centro non le persone ma il consenso elettorale. I poveri e il bene comune ne pagano le conseguenze. Politica e lavoro, sono legati indissolubilmente al tema della persona che con la sua dignità deve essere rimessa al centro», dice don Bruno Bignami, direttore dell'Ufficio per i problemi sociali della Cei e autore del libro appena uscito “Dare un'anima alla politica”, edito da San Paolo. Che aggiunge: «Il lavoro cosiddetto “invisibile” è ben noto da Nord a Sud. E continua ad essere una piaga della nostra società».

Eppure ci sarebbero misure concrete per contrastare il lavoro invisibile e tutelare i diritti dei lavoratori, «ad esempio», spiega don Bruno Bignami «una proposta è legata al salario minimo, che merita certamente un'attenta valutazione. Così come andrebbero rivisti i contratti per adeguare gli stipendi al tenore di vita delle persone. Tuttavia, non va trascurato un altro aspetto che ritengo sia cruciale: la cultura del lavoro. Un aspetto in cui nel Paese bisogna lavorare molto e da quello che leggo del caso di Latina, la cultura del profitto ha trionfato su quella del rispetto della dignità. Senza adeguati investimenti in questo ambito, le persone continuano a rimanere esposte a rischi, ma soprattutto c'è tutto quel sottobosco di lavoro nero che rischia di non emergere mai. Pertanto, è essenziale affrontare la questione del lavoro partendo dalle reali condizioni di vita delle persone, considerando la sicurezza sul lavoro non come un onere, ma come un investimento sul futuro delle persone e dei luoghi di lavoro stessi», aggiunge il direttore dell'Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei.

Come contrastare insieme al lavoro sommerso – nero o grigio che sia – il caporalato, piaga che sfrutta i lavoratori migranti, spesso in condizioni degradanti e non salutari? «Innanzitutto intensificando i controlli, perché nonostante l'esistano da tempo norme specifiche contro il caporalato, questa pratica persiste. Ciò significa che le leggi non vengono adeguatamente applicate o ci sono individui che le si aggirano con facilità. Premesso questo, serve una formazione delle coscienze rispetto a questo tema, dei cittadini, non solo di chi lavora in questi ambiti. Ad esempio chiedendo alle associazioni di categoria di dissociarsi o espellere chi, tra i propri iscritti, usa il caporalato come forma di guadagno, ma anche educando al consumo etico responsabile». È lo stesso Dottrina sociale della Chiesa che rimettere al centro la persona, promuovendo una cultura del lavoro non materialistica, per questo «bisogna ribaltare una visione che valorizza il profitto e l'auto-promozione come criteri esclusivi e ripensare il lavoro e il posto di lavoro come ambiti comunitari, dove le persone sono viste come comunità che esprime relazioni e legami. La “Laudato si” va in questa direzione, anche se non sempre abbiamo colto la profezia di questa enciclica del magistero di papa Francesco e del pensiero della Chiesa. La cultura del lavoro non sarà materialistica nella misura in cui viene concepita come contributo alla costruzione della casa comune. Di conseguenza, ogni lavoratore e ogni esperienza lavorativa ha il potenziale di arricchire il mondo o, al contrario, di distruggerlo», aggiunge don Bignami. Che ricorda che la Chiesa è in prima linea nel farsi carico delle condizioni di degrado di lavoratori sfruttati e senza diritti: «Tra le tante esperienze che abbiamo cercato di promuovere negli ultimi anni, ci sono le cooperativa di comunità che hanno ridato vita a luoghi che sembravano senza futuro, grazie all'intraprendenza di molte persone, in particolare di giovani. Un esempio emblematico è rappresentato dalla “Paranza” di Napoli, nel rione Sanità, che ha valorizzato dei beni abbandonati come le catacombe e, allo stesso tempo, ha contribuito alla rinascita culturale e sociale dell'intero quartiere».

Per garantire un lavoro dignitoso alle migliaia di “Satnam Singh” in Italia ma anche a tutte le persone costrette al lavoro nero, il direttore dell'Ufficio per i problemi sociali conclude: «Serve un impegno per garantire salari equi e migliorare le condizioni lavorative, in particolare per i giovani e le donne, che tutt'ora ricevono stipendi non commisurati alle loro funzioni. Questa è una situazione inaccettabile che richiede un'azione immediata».





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