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Il trucco dei religiosi dell’Isola Tiberina per salvare i bambini ebrei


Jesùs Sanchez Adalid.

Niente di meglio che l'invenzione per raccontare una storia vera. Una luce nella notte di Roma è uno straordinario romanzo manzoniano sulla Capitale nell'anno di disgrazia del 1943, all'epoca dell'occupazione nazista della città e del rastrellamento della comunità ebraica. Lo ha scritto il sacerdote spagnolo Jesùs Sanchez Adalid per i tipi di HarperCollins, autore di romanzi storici di grande successo tradotti in tutto il mondo. Il suo ultimo lavoro è un grande affresco che racconta una vicenda realmente accaduta: per salvare alcuni bambini ebrei dalla deportazione i padri dell'ordine di San Giovanni di Dio (più conosciuto come Fatebenefratelli) e il personale medico dell'ospedale dell'Isola Tiberina inventarono un falso morbo molto contagioso, il morbo di K., una specie di Covid ante litteram, che tenne lontano i nazisti. «Penso davvero che Una luce nella notte di Roma, sebbene possa avere un grande valore storico, non sia un romanzo storico in senso proprio, ma molto di più», ci dice l'autore. «Direi che è un racconto contemporaneo. Ogni racconto si nutre in un modo o nell'altro della realtà. E, purtroppo, la guerra continua ad essere la grande tragedia dell'umanità. La luce di speranza nel mio romanzo è rappresentata dai giovani che hanno dovuto vivere esperienze terribili e, nonostante tutto, non hanno perso la fede e la voglia di lottare per andare avanti. È anche la luce delle persone credenti, con vera fede, che non hanno esitato a rischiare la propria vita per salvare gli altri». Il suo romanzo nasce con una mail. «Nel 2018», racconta, «ho ricevuto un messaggio da un padre dell'ospedale, padre Angel Lopez Martin, che iniziava così: “Caro don Jesús, le allego un fatto storico accaduto nel nostro Ospedale dell'Isola Tiberina a Roma.

Pochi giorni dopo, ho ricevuto un insieme di articoli, lettere, interviste e testimonianze. Con queste premesse, ho iniziato un'ardua ricerca che mi avrebbe condotto agli archivi e ai registri documentali dove sono stati raccolti i nomi ei dati biografici di milioni di vittime dell'Olocausto, dalla Shoah Foundation di Steven Spielberg al museo israeliano Yad Vashem. Curiosamente, i primi passi delle mie indagini coincidevano con la decisione del Vaticano di rendere pubblici più di 2.700 fascicoli di richieste di aiuto da parte degli ebrei di tutta Europa durante la persecuzione nazista». Don Sanchez spiega che un saggio su questo tema avrebeb ha avuto un impatto minore. «Il loro amore è una metafora della pseranza. Questa storia reale è così appassionante che risultava perfetta per un romanzo. Sentivo di dover dare vita e voce ai protagonisti con un racconto che sembrasse reale, come una vera cronaca».

I due protagonisti della storia, una sorta di Renzo e Lucia, sono personaggi realmente esistiti. «Una notte ho ricevuto dall'America Latina la chiamata di qualcuno che in precedenza mi aveva manifestato con fermezza che non desiderava in nessun caso condividere con scrittori o giornalisti quella memoria familiare conservata in segreto per oltre settant'anni. Ora riconsiderava finalmente la sua decisione. Con mia grande gioia avrebbe raccontato ciò che era accaduto ai suoi antenati».
Il romanzo rimanda ai numerosi esempi di altruismo dei cattolici romani nel salvare i loro fratelli ebrei. Dietro a ciò c'era anche la “regia” di Pio XII. «Oltre che nell'ospedale Fatebenefratelli, molti altri ebrei trovarono rifugio e salvarono la vita nella Roma occupata dai nazisti. Dalle meticolose ricerche di Dominiek Oversteyns sappiamo che 495 ebrei riuscirono a fuggire verso paesi in collina intorno a Roma, e sappiamo che almeno 1.324 si nascosero in case di amici e cittadini compassionevoli. Tuttavia, la maggior parte furono salvati dalla Chiesa cattolica: 4.205 trovarono rifugio in 235 monasteri romani, 160 sopravvissero in Vaticano e nelle sue 26 aree extraterritoriali. Papa Pio XII poté anche aiutare numerosi ebrei che andarono a vivere in appartamenti privati. Ci sono prove documentali della sua partecipazione alla liberazione e al salvataggio di 249 ebrei romani arrestati tra il 16 e il 18 ottobre 1943, un quinto degli ebrei arrestati a Roma durante questo periodo. Inoltre, sappiamo con certezza che almeno 30 studiosi ebrei lavorarono in varie dipendenze vaticane e continuarono le loro ricerche nei Musei e Archivi dopo essere stati licenziati a causa delle leggi razziali. Come Hermine Speier, che iniziò a lavorare in Vaticano già nel 1934, Fritz Volbach, impiegato dal 1939, o Erwin Stuckold che ebbe l'opportunità di continuare i suoi studi in Vaticano nonostante le leggi razziali. La luce della notte di Roma è anche tutto questo».





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