Istruzione

Elisabetta, docente di ruolo a 150,8 km dalla propria residenza: “Anche i miei figli adolescenti hanno diritto ad una mamma” – Orizzonte Scuola Notizie


Elisabetta, 42 anni, è una docente piemontese, vincitrice di concorso alla scuola primaria (Decreto 498/2020), che pur avendo superato a pieni voti il ​​concorso selettivo per l'abilitazione all'insegnamento della lingua inglese non ha visto riconosciuto un suo diritto: quello dello spostamento in una scuola più vicina alla propria residenza, nonostante i primi assunti dalla stessa graduatoria abbiano visto dei benefici che lei non ha avuto.

Elisabetta percorre 150,8 chilometri, da Roccavione a Chivasso, ogni giorno, per raggiungere il posto di lavoro attraversando due province. Sveglia alle 5, partenza alle 6.40 per rientrare alle 21.00. L'indomani, stessa storia. A meno che non ci fossimo riuniti a scuola e ci saremmo rientrati per le 23 o mezzanotte. I suoi figli hanno già compiuto 12 anni e la normativa prevede che un docente, per avere una mobilità o un'assegnazione, debba avere dei figli sotto i 12 anni, una età personale di 104 anni o dei genitori sopra i 65 anni con dei 104.

“È un'ingiustizia”, racconta la donna al nostro giornale. “Io, come molti altri – siamo un gruppo di 200 docenti che chiede riconosciuto un proprio diritto – siamo stati assunti quest'anno da una laurea esistente da due anni, quella del concorso del 2020. I primi assunti da questa laurea, l'anno scorso, hanno avuto dei benefici che noi non abbiamo. Qualcuno ha avuto mobilità, altre assegnazioni, soprattutto interprovinciali, che hanno consentito loro di spostarsi e avvicinarsi annualmente al nucleo familiare anche non nel caso di bambini piccoli, personali o familiari”.

“Non viene contemplato un ricongiungimento di coppia, quello della famiglia d'origine, la differenza di età, di 12, 13 o 15 anni, per i bambini, non esiste. Dopo i 12 anni non si smette di essere figli. Talvolta è difficile accudirli. Io ho due adolescenti e non posso pensare di andarmene di casa, per giorni e abbandonarli. Non sono adulti. Ci è stato fatto credere dai sindacati che, quando abbiamo accettato il ruolo, avremmo potuto beneficiare delle assegnazioni nella stessa maniera degli altri colleghi; allora sono state dichiarate le deroghe che noi non abbiamo ottenuto, ecco perché molti di noi hanno accettato il ruolo. Al ruolo non si può rinunciare. Non abbiamo derubato nessuno, io come altri abbiamo superato una competizione iperselettiva. Lo abbiamo fatto come meglio potevamo. Lo abbiamo superato e non lo vediamo perché vengono negate le condizioni lavorative più appropriate. Un anno lo abbiamo già vissuto presso la sede assegnataria e con difficoltà. Quindi vuol dire che siamo costretti a fare altri due anni prima della mobilità?”

Elisabetta ha fatto il meglio che poteva per riuscire a raggiungere due obiettivi: l'insegnamento e il ruolo. “Ho scoperto che nonostante gli sforzi e i sacrifici la meritocrazia nel reclutamento dei docenti non è contemplata. Il numero dei posti messi a ruolo per l'a.s. “2023/24 sulla provincia di Cuneo era esiguo, e io sono stata costretta, con non poca paura, ad inserire anche la provincia di Torino per la scelta della sede.”

Dopo un primo momento di forte sconforto Elisabetta non si perde d'animo, e pur di non rinunciare al desiderato e meritato ruolo, cerca delle soluzioni. “Avendo constatato che la distanza fosse troppo lunga da percorrere, ogni giorno, in auto, e che questi viaggi avrebbero comportato l'usura del veicolo, la spesa di denaro per il carburante e l'elevato rischio di incidenti; visto il clima spesso nebbioso e le strade ghiacciate, ho deciso di affidarmi alle Ferrovie dello Stato. Scelta più economica, ma assolutamente massacrante quanto fallimentare. Ogni giorno mi trovavo a dover prendere tre treni all'andata e altrettanti al ritorno (se tutto filava liscio). Vittime quotidiane, continui ritardi e cancellazioni. Ritardi che spesso mi facevano perdere le coincidenze dei treni 'incastrati' tra loro. Condannandomi, spesso, a ritardare il mio ingresso a scuola o il mio rientro a casa. Treni sporchi, faticosi, mal frequentati. Mendicanti aggressivi, persone arroganti, maleducate, sporche. Individui mentalmente instabili che facevano le peggiori cose, fino a masturbarsi a tarda ora nei vagoni semivuoti. Stazioni non sempre sicure.

Ho rischiato aggressioni lungo la strada, dalla stazione all'auto (dove rientravo tardi non c'era più il collegamento verso Roccavione e al mattino dovevo rientrare alla stazione, a Cuneo, in auto). Spesso soggetti ubriachi o tossici o semplicemente pervertiti mi hanno seguita fino all'auto facendomi fare quel tratto di strada col cuore in gola e uno spruzzo di peperoncino stretto tra le mani, che sapeva si sarebbe rivelato inutile se i malintenzionati fossero stati più di uno. Così nel tempo ho sviluppato la paura fino ad avere dei veri e propri attacchi di panico. Di notte dormivo poco e male, e la sveglia al mattino suonava alle cinque, per ricordarmi che un'altra giornata all'insegna dell'agitazione stava per cominciare. Io ho provato a valutare un affitto, ma non posso lasciare i miei figli minorenni. Mio marito non c'è sempre, da sei mesi all'anno è fuori all'estero, l'unica ipotesi è che i miei figli siano separati da un contesto dove vivono, studiano, fanno sport e li portano con me, per quale motivo? Per tre anni, poi riportarli nella nostra città. Perché devo ricordare un trauma ai miei figli in questo modo?”

“Probabilmente le cose sono fatte per quest'anno – continua il docente – ognuno si salverà a suo modo, ma dobbiamo prevederlo almeno per l'anno prossimo che ci facciano entrare, io sono in procinto di pensare al licenziamento. Avendo trascorso un anno così difficile da diversi punti di vista, non sono nella condizione di pensare ad altri due anni in questo modo. Non riesco. Svolgo un lavoro che mi impegna veramente tanto, di testa e di fisico. Voglio dare il 100% ai miei studenti. Probabilmente ti spingerò a licenziarti o a metterti in attesa, ma io sinceramente non posso stare un anno senza lavorare, ho bisogno di un'entrata, se non avrei fatto la casalinga. Oltretutto io vorrei lavorare per me in questo posto – nonostante tutto Elisabetta ha trovato un ambiente scolastico accogliente – non lo faccio per uno stipendio per me in questo posto.”



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