News

«I cattolici italiani non si sono mai chiusi in sacrestia ma la Chiesa non prende posizione politiche»



«La Chiesa è madre di tutti, perché solo guidata dal Vangelo. Leggere e qualificare le sue posizioni in un’ottica politica, deformando e immiserendo le sue scelte a convenienze o partigianerie, non fa comprendere la sua visione che avrà sempre e solo al centro la persona, senza aggettivi o limiti».

Davanti al Capo dello Stato Sergio Mattarella e ai circa novecento delegati arrivati da tutte le diocesi d’Italia, il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, apre la 50esima Settimana Sociale dei cattolici in Italia ringraziando il presidente della Repubblica «per la sua presenza che onora questa Settimana e per il suo servizio di custode e garante della democrazia e dei valori della nostra Repubblica e dell’Europa», parole che suscitano un lungo e caloroso applauso da parte della sala.

La cerimonia di apertura doveva svolgersi inizialmente in piazza Unità d’Italia ma la minaccia del maltempo ha consigliato di trasferirla al coperto, nell’auditorium del Generali Convention Center, in Porto Vecchio. Mattarella arriva attorno alle 17 e viene accolto dall’Inno di Mameli e dalle autorità in prima fila: il presidente della Regione Friuli Fedriga, il sindaco di Trieste Dipiazza e il vescovo Enrico Trevisi.

Le “buone pratiche”, già attuate sui territori, sono lo spaccato di questa Settimana Sociale e non a caso il primo a prendere la parola è Simone Ferraiuolo, socio e collaboratore della Coperativa sociale “Oltre l’Arte” di Matera. Un’iniziativa nata nel 2008 nell’ambito del Progetto Policoro della Cei per offrire opportunità di lavoro ai giovani del Sud: «Oggi a distanza di 16 anni dalla sua costituzione, “Oltre l’Arte” è una realtà imprenditoriale che conta 110 collaboratori regolarmente assunti», racconta Ferraiuolo, «sulla scorta della nostra esperienza di giovani del Sud, possiamo testimoniare che è possibile sfidare la logica della rassegnazione, creare lavoro a partire dalla valorizzazione dei giovani e dalle vocazioni di un territorio, contribuire allo sviluppo economico di una comunità ed essere generativi di democrazia, di speranza e di futuro per il Paese. “Occorre investire nell’intelligenza e nel cuore delle persone”».

La seconda testimonianza è quella di Carla Braibanti della Cooperativa Sociale di Comunità “Trame di Quartiere” che opera a San Berillo, un quartiere del centro storico della città di Catania, demolito per ragione speculative negli anni Sessanta e mandando via gli abitanti. «Il nostro lavoro», spiega Braibanti, «inizia proprio a partire dall’abitare il quartiere, conoscere chi lo abita e costruire relazioni, tessere “Trame di un quartiere”. Nel 2011 abbiamo avviato una mappatura di comunità dando voce a chi vi abitava e a chi era stato costretto ad andare via, recuperando il patrimonio culturale materiale e immateriale e raccontando il quartiere e le sue molteplici voci tramite diverse iniziative. Vivere questa quotidianità ci porta a capire che è necessario offrire dei servizi, creare opportunità lavorative e, al contempo, creare un punto di riferimento per coloro che restano abbandonati dalle politiche pubbliche. Oggi San Berillo racchiude una serie di vulnerabilità: un quartiere come tanti altri nelle città italiane, dove è facile esaltare il degrado ma molto più difficile ritrovare opportunità». Il progetto si concretizza «nell’impresa di ristrutturare un palazzo ottocentesco, Palazzo De Gaetani, lasciatoci in comodato d’uso. Grazie a finanziatori, come Fondazione CON IL SUD, e altri partner e soprattutto grazie alle idee e alle braccia di tante persone che hanno iniziato a rimuovere tutti i rifiuti accumulati in decenni di abbandono, riusciamo a procedere con il miglioramento sismico e così Palazzo De Gaetani, la nostra sede, diventa uno spazio aperto al quartiere e alla città. Nel 2020, attraverso Confcooperative Sicilia, si formalizza la nostra cooperativa di comunità».

Oggi a san Berillo c’è un housing sociale con due appartamenti, uno dove oggi abitano 9 persone con nazionalità differenti (italiana, nigeriana, gambiana) e uno dove abita una famiglia nigeriana: «Persone», spiega Braibanti, «che non sono riuscite a trovare casa a Catania e che vengono supportate per un anno a trovare un lavoro regolare e una casa con contratto di affitto».

Dopo le due testimonianze, interviene il presidente della Cei al quale preme dire quali sono il ruolo e la missione della Chiesa nella società italiana. «Essa», sottolinea il cardinale Zuppi, «parla perché è libera e ha uno sguardo amorevole e benevolo verso ciascuno: di tutti è amica e preoccupata, nessuno è per lei nemico. Per questo, come Chiesa, di tempo in tempo, con la nostra esperienza umana dell’Italia, maturata tra la gente, esprimiamo “preoccupazioni”: sono testimonianze della realtà e dei suoi angoli dimenticati, sono offerte di dialogo in spirito di franchezza e collaborazione». Nel suo intervento, il capo dei vescovi italiani rievoca il «momento difficile del 1994 quando – come diceva allora qualcuno – c’era il rischio che l’Italia cessasse di essere una nazione».

Un frangente storico drammatico con i partiti della prima Repubblica che erano appena stati spazzati via da Tangentopoli con l’inchiesta “Mani Pulite” e, in Parlamento e nel Paese, soffiavano venti secessionisti da parte delle forze emergenti della Seconda Repubblica. Giovanni Paolo II, sottolinea Zuppi, «disse ai vescovi italiani, esortandoli a testimoniare “quell’eredità di valori umani e cristiani che rappresenta il patrimonio più prezioso del popolo italiano” e che declinava come “eredità di fede”, “eredità di cultura” ed “eredità dell’unità”. “Certamente oggi è necessario un profondo rinnovamento sociale e politico”, aggiungeva allora il Papa, e perciò “i laici cristiani non possono […] sottrarsi alle loro responsabilità”. La pace e lo sviluppo non sono beni conquistati una volta per tutte. Richiedono un “amore politico” che deve assumere l’unità come un obiettivo da perseguire, da difendere e da far crescere, perché l’unità non è mai statica, ma sempre dinamica».

Il presidente della Cei spiega il senso del tema scelto per questa Settimana Sociale che è “Al cuore della democrazia”. «Oggi», è l’analisi di Zuppi, «la democrazia soffre perché le società sono sempre più polarizzate, attraversate cioè da tensioni sempre più aspre tra gruppi antagonisti, dominate dalla contrapposizione amico-nemico, dalla pervasiva convinzione che l’individuo è tale quando è al centro, mentre è solo nella relazione che la persona comprende il suo valore. Le pandemie ci hanno fatto comprendere il senso di comune appartenenza, di comunità di destino, di partecipazione a una vicenda collettiva. Non c’è democrazia senza un “noi”. Non c’è persona senza l’altro. La democrazia non solo afferma la libertà, ma promuove anche l’uguaglianza, non proclama astrattamente i diritti, ma difende concretamente la dignità umana soprattutto dove è più pesantemente violata. Ecco perché la democrazia non vuol dire solo istituzioni, leggi e procedure, diritti e doveri, ma anche inclusione dell’altro, del fragile, dell’emarginato. Vuol dire contrasto alla cultura dello scarto, alle dipendenze con le loro drammatiche conseguenze in tante violenze, alle condizioni indegne nelle carceri, ai tanti feriti della malattia psichiatrica».

Zuppi plaude a «nuove forme di democrazia incentrate sulla partecipazione: questa Settimana Sociale è dedicata in larga parte proprio alle buone pratiche partecipative di democrazia. Siamo contenti», sottolinea, «quando i cattolici si impegnano in politica a tutti i livelli e nelle istituzioni. Siamo portatori di voglia di comunità in una stagione in cui l’individualismo sembra sgretolare ogni costruzione di futuro e la guerra appare come la soluzione più veloce ai problemi di convivenza. I cattolici in Italia desiderano essere protagonisti nel costruire una democrazia inclusiva, dove nessuno sia scartato o venga lasciato indietro. Anche, per questo, dobbiamo essere più gioiosamente e semplicemente cristiani, disarmati perché l’unica forza è quella dell’amore».

Il presidente della Cei rivendica, inoltre, il ruolo e la missione “sociale” svolta dai cattolici nella storia del Paese: «Dal 1907 a oggi», ricorda Zuppi, «il cattolicesimo italiano non è rimasto a guardare, non si è chiuso in sacrestia, non si è fatto ridurre a un intimismo individualista o al culto del benessere individuale, ma ha sentito come propri i temi sociali, si è lasciato ferire da questi per progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale. Ha pensato e operato non per sé ma per il bene comune del popolo italiano. E il bene comune non è quello che vale di meno, ma è quello più prezioso proprio perché l’unico di cui tutti hanno bisogno e che dona valore a quello personale».

Una storia di cui essere «fieri», rivendica Zuppi, che spiega anche la scelta di Trieste come sede per svolgere i lavori di questa 50esima Settimana Sociale: «Una terra di confine, segnata dal dialogo interculturale, ecumenico e interreligioso, da tanta sapienza antica e recente, porta che unisce est e ovest, nord e sud, ma anche terra segnata da ferite profonde che non si sono del tutto rimarginate. I troppi morti ci ammoniscono a non accettare i semi antichi e nuovi di odio e pregiudizio. Non vogliamo che i confini siano muri o, peggio, trincee, ma cerniere e ponti! Lo vogliamo perché questo è il testamento di chi sulle frontiere ha perso la vita. Lo vogliamo per quanti, a prezzo di terribili sofferenze, si sono fatti migranti e chiedono di essere considerati quello che sono: persone».

Il Vangelo, spiega Zuppi, «ci aiuta a capire che siamo fatti gli uni per gli altri, quindi gli uni con gli altri. La nostra casa comune richiede un cuore umano e spiritualmente universale». Poi cita «De Gasperi e gli altri Padri fondatori dell’Europa», i quali erano «animati – sono parole sue – “dalla preoccupazione del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra Patria Europa”. Ed è significativo che lo statista trentino usasse la parola patria sia per l’Italia, sia per l’Europa senza avvertire contraddizioni. I cristiani prendono sul serio la patria, tanto che sono morti per essa, ma sanno anche che c’è sempre una patria in cielo e questo ci rende familiari di tutti e a casa ovunque».

Il presidente della Cei ricorda Satnam Singh, il ragazzo indiano di Cisterna di Latina che è morto dissanguato dopo aver perso il braccio destro in un incidente sul lavoro nella sua azienda agricola e per il quale è stato arrestato il datore di lavoro, già indagato per caporalato, con l’accusa di omicidio colposo con dolo eventuale. Singh, sottolinea Zuppi, «sognava il futuro e lavorava per ottenerlo: è uno di noi, lo ricordiamo con commozione e la sua vicenda è un monito che svela l’ipocrisia di tante parole che purtroppo rimangono tali e, quindi, beffarde. Sentiamo totalmente estraneo a noi il caporalato, la disumanità, lo sfruttamento delle braccia che dimenticano e umiliano la persona che offre le sue braccia. La persona che lo aveva ospitato ha detto di avergli dato il posto perché ricordava come suo papà emigrato dormisse nelle cabine telefoniche in Svizzera. La solidarietà», prosegue Zuppi, «presidia e difende la vita di tutti, tutela il diritto a nascere come quello ad essere curati e accompagnati fino alla fine, difesi dal dolore e senza che nessuna logica o calcolo affretti la morte di nessuno. La solidarietà è un motore invisibile ma indispensabile di tutta la vita collettiva. La sua mancanza indebolisce il tessuto sociale, ostacola la crescita economica, offende l’individuo e non ne sa valorizzare le capacità e, alla fine, svuota la democrazia. La solidarietà passa attraverso le comunità in cui l’uomo vive: le comunità ecclesiali e le tantissime realtà di libero e gratuito altruismo, la famiglia ma anche le comunità locali e regionali, la nazione, il continente, l’umanità intera».

Infine, uno sguardo ai problemi e alle emergenze che sta attraversando l’Italia per dire che la Chiesa e i cattolici si sentono «parte di un Paese che sta affrontando passaggi difficili e crisi epocali: basti pensare», ricorda Zuppi, «all’inverno demografico, alla crescita delle disuguaglianze, alle percentuali di abbandono scolastico, all’astensionismo e alla disaffezione sempre più numerosa alla partecipazione democratica, alla vita scartata che diventa insignificante per l’onnipotenza che si trasforma in nichilismo distruttivo di sé stesso. Sentiamo la sfida dell’accoglienza dei migranti, della transizione ecologica, della solitudine che avvolge molte persone, della difficoltà di spazi per i giovani, dell’aumento della conflittualità nei rapporti sociali e tra i popoli, infine della guerra che domina lo scenario internazionale e proietta le sue ombre su tutto questo. Ci angoscia il fatto», rimarca il presidente della Cei, «che oggi i “poveri assoluti” siano cresciuti fino a diventare più di 5 milioni e mezzo: 1 su 10, tantissimi. Dovremmo interrogarci con severità: come è possibile? Quante risorse sprecate, quante opportunità perdute, quanti campi in cui è urgente una maggiore solidarietà!».





Source link

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *