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Mattarella: «La democrazia non è solo maggioranza»



Una lezione alta di diritto costituzionale. Per comprendere le ragioni dello stare insieme, le basi della democrazia e il rischio che si incontrino con un loro indebolimento. Sergio Mattarella interviene nella giornata di apertura della 50esima Settimana sociale dei cattolici italiani. Interrotto più volte dagli applausi, il presidente della Repubblica ricorda che «le dittature del Novecento l'hanno identificata come un nemico da battere» mentre «gli uomini liberi ne hanno fatto una bandiera. Insieme una conquista e una speranza che, a volte, si cerca, in modo spregiudicato, di mortificare ponendo il nome a sostegno di tesi di parte». Cita Dossetti, don Milani, De Gasperi, Tocqueville, Paolo VI, Giorgio Napolitano…. Oltre mezz'ora di intervento con un tavolo attento per spiegare che la democrazia «è un tessuto che gli avversari della democrazia pretenderebbero di logorare» e che «si è persino giunti ad affermare che siano opponibili tra i loro valori come libertà e democrazia, con quest'ultima artatamente utilizzabile come limitazione della prima». Proprio per questo «non è fuori luogo, allora, chiedersi se vi sia, e quale, un'anima della democrazia. O questo si traduce solo in un metodo? Cosa ti ispira? Cosa ne fa l'ossatura che sorregge il corpo delle nostre istituzioni e la vita civile della nostra comunità?», si chiede Mattarella. Il presidente sottolinea ricordando che Alexis de Tocqueville «affermava che una democrazia senza anima è destinata a implodere, non per gli aspetti formali naturalmente, bensì per i contenuti valoriali venuti meno».

Intervenendo a Torino, alla prima edizione della Biennale della democrazia, nel 2009, dice ancora il Presidente, «Giorgio Napolitano, rivolse lo sguardo alla costruzione della nostra democrazia repubblicana, con l'acquisizione dei principi che hanno inserito il nostro Paese, da allora, nel solco del pensiero liberal-democratico occidentale. Dopo la “costrizione” ossessiva del regime fascista soffiò “l'alito della libertà”, con la Costituzione a intelaiatura e garanzia dei diritti dei cittadini. L'alito della libertà anzitutto come rifiuto di ogni obbligo di conformismo sociale e politico, come diritto all'opposizione».

Mattarella ricorda che la democrazia non è solo maggioranza e rivendica il ruolo insopprimibile del Parlamento perché «la democrazia, in altri termini, non si esaurisce nelle sue norme di funzionamento, ferma restando l'imprescindibilità della definizione e del rispetto delle “regole del gioco”. Perché – come ricordava Norberto Bobbio – le condizioni minime della democrazia sono esigenti: generalità e uguaglianza del diritto di voto, la sua libertà, proposte alternative, ruolo insopprimibile delle assemblee elettive e, infine e non da ultimolimiti alle decisioni della maggioranza, nel senso che non possano violare i diritti delle minoranze e impedire che possano diventare, a loro volta, maggioranze».

Invita a partecipare, che non vuol dire «parteggiare, andare a votare, osservare le regole, perché «è la pratica della democrazia che la rende viva, concreta, trasparente, capace di coinvolgere». Non c'è democrazia, insisto, ««senza la tutela dei diritti fondamentali di libertà, che rappresentano ciò che dà senso allo Stato di diritto e alla democrazia stessa. L'impegnativo tema che avete posto al centro della riflessione di questa Settimana sociale interpella, con forza, tutti. La democrazia, infatti, si rinnova ogni giorno nella vita delle persone e nel mutuo rispetto delle relazioni sociali, in condizioni storiche mutevoli, senza che ciò possa indurre ad atteggiamenti remissivi circa la sua qualità». Non ci si può accontentare di una democrazia imperfetta, non ci si può abbandonare all'astensionismo, «al crescere di un assenteismo dei cittadini dai temi della “cosa pubblica”».

Non solo, Mattarella è molto chiaro nel sottolineare che si può correre rischio che «il principio “un uomo-un voto” venga distorto attraverso marchingegni che alterano la rappresentatività e la volontà degli elettori.il Ancora più le libertà risulteranno vulnerabili ipotizzando democrazie affievolite, depotenziate da tratti illiberali. Ci soccorre anche Bobbio quando ammonisce che non si può ricorrere a semplificazioni di sistema o restrizioni di diritti “in nome del dovere di governare”».

E dunque occorre riconoscere che «la democrazia “della maggioranza” sarebbe, per definizione, una contraddizione insanabile, per la confusione tra strumenti di governo e tutela dell’effettiva condizione dei diritti e di libertà».

Non bisogna cedere a ciò che il Presidente chiama «l'ossessione della contrapposizione», della «rivalsa, della delegittimazione» e ricordare che «la democrazia non è mai conquistata per sempre. Anzi, il susseguirsi delle diverse condizioni storiche e delle loro mutevoli caratteristiche, richiede un attento, costante inveramento. Nella complessità delle società contemporanee, alle criticità note, che mettono a rischio la vita degli Stati e delle comunità, si aggiungono nuovi rischi epocali: quelli ambientali e climatici, sanitari, finanziari, oltre alle sfide indotte dalla digitalizzazione e dall'intelligenza artificiale.. Le nostre società appaiono sempre più a rischio, a fronteggiare il quale si progettano, talora, soluzioni tecnocratiche. È tutt'altro che improprio, allora, interrogarsi sul futuro della democrazia e sui compiti che gli sono affidati, proprio perché esso non è semplicemente un metodo, bensì costituisce lo “spazio pubblico” in cui si esprimono le voci protagonista dei cittadini».

Nel corso del tempo, malgrado ciò, ci si è posta la domanda «“A cosa serve la democrazia?”. La risposta è semplice: riconoscere – perché preesistono, come indica l'art. 2 della nostra Costituzione ea rendere effettiva la libertà delle persone e delle comunità». E sottolinea che «nei settentrionali anni dalla scelta referendaria del 1946, libertà di impronta liberale e libertà democratica hanno contribuito, al “cantiere aperto” della nostra democrazia repubblicana, con la diversità delle alternative, le realtà di vita e le diverse mobilitazioni che ne sono derivato. La libertà di tradizione liberale ci richiama a un'area intangibile dei diritti fondamentali delle persone, e sulla indisponibilità di questi rispetto al potenziale successore di maggioranze e, ancor più, a effimeri esercizi di aggregazione degli interessi. La libertà espressa nelle vicende novecentesche, con l'irruzione della questione sociale, ha messo poi a fuoco la dinamica delle aspettative e dei bisogni dell'identità collettiva nella società in permanente trasformazione. È una questione nota al movimento cattolico, se è vero che quel giovane e brillante membro dell'Assemblea Costituente, che era Giuseppe Dossetti, pone il problema del “vero accesso del popolo e di tutto il popolo al potere ea tutto il potere, non solo quello politico, ma anche quello economico e sociale”, con la definizione di “democrazia sostanziale”. A segnare così il passaggio ai contenuti che sarebbero stati poi consacrati negli articoli della prima parte della nostra Carta costituzionale. Fra questi i diritti economico-sociali. Una riflessione impegnativa con l'ambizione di mirare al “bene comune” che non è il “bene pubblico” dell'interesse della maggioranza, ma il bene di tutti e di ciascuno al tempo stesso, secondo quanto già la Settimana Sociale del 1945 volle indicare».

Ringraziamenti per il contributo dei cattolici alla vita sociale del Paese, alla costruzione della democrazia, alla crescita del Paese. E ricorda anche il costituente Egidio Tosato, che pone il tema «dell'equilibrio tra i valori di libertà e di democrazia, con l'individuazione di garanzie costituzionali a salvaguardia dei cittadini» perché «la democrazia come forma di governo non basta a garantire in misura completa la tutela dei diritti e delle libertà: essa può essere distorta e violentata nella pretesa di beni superiori o di utilità comuni. Il Novecento ce lo ricorda e ammonisce. Anche da questo si è fatta strada l'idea di una suprema Corte Costituzionale». «Tosato», spiega Mattarella, ed è una lezione che può aiutarci a leggere le scelte di oggi, «contestò l'assunto di Rousseau, in base al quale la volontà generale non poteva trovare limiti di alcun genere nelle leggi, perché la volontà popolare poteva cambiare qualunque norma o regola. Lo fece con parole molto nette: «Noi sappiamo tutti ormai che la presunta volontà generale non è in realtà la volontà di una maggioranza e che la volontà di una maggioranza, che si considera come rappresentativa della volontà di tutto il popolo, può essere, come spesso si è dimostrata, più ingiusta e più oppressiva che non la volontà di un principe»».

In altre parole si diceva «un fermo no, quindi, all'assolutismo di Stato, a un'autorità senza limiti, potenzialmente prevaricatrice».

E Guido Gonella, «personalità di primo piano del movimento cattolico italiano e poi statista insigne nella stagione repubblicana, relatore anche alla Settimana di Firenze nel 1945, non ebbe esitazioni nel rinvenire nelle Costituzioni, una “forma di vita più alta e universale”, con la presenza di elementi costanti “categorie etiche”, e di elementi variabili, secondo le “esigenze storiche”, ponendosi in guardia sui rischi posti da una eccessiva rigidità conservativa o da una troppo facile flessibilità demagogica che avrebbe potuto caratterizzarle, con il risultato di poter passare con indifferenza dall’assolutismo alla demagogia, per ricadere all’indietro verso la dittatura. Su questo si basa la distinzione tra prima e seconda parte della nostra Costituzione».

Il messaggio è chiaro anche per i nostri giorni: è «sbagliato e rischioso cedere alla sensibilità contingente, sulla spinta delle tentazioni quotidiane della contesa politica». Come si rischia di venire con la frequente tentazione di inserire richiami a temi particolari nella prima parte della Costituzioneignorando che questa, per effetto della saggezza dei suoi estensori, li ricomprende comunque in base ai suoi principi e valori di fondo».

Parla di pace, con il richiamo agli articoli della nostra Costituzione che la bandiscono come mezzo di risoluzione delle controversie.

Parla di Europa e del percorso democratico che si è avviato nel Continente «dopo la sconfitta del nazismo e del fascismo» e che «ha permesso di rafforzare le istituzioni dei Paesi membri e ampliare la protezione dei diritti dei cittadini, dando vita a quella architrave di pace che è stata prima la Comunità europea e ora è l'Unione». E ricorda che «la democrazia è l'antidoto alla guerra». Eppure ci sono «nuovi steccati che minano la convivenza e le basi della democrazia». Riprende l'enciclica “Populorum progressio” di Paolo VI: «essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, la salute, una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori di ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la la loro dignità di uomini, godere di una maggiore istruzione, in una parola fare conoscere e avere di più per essere di più: ecco l'aspirazione degli uomini di oggi, mentre un gran numero di essi è condannato a vivere in condizioni che rendono illusorio tale legittimo desiderio». C'è qualcuno che chiede al Presidente che potrebbe rifiutarsi di sottoscrivere queste istruzioni? Temo di sì, in realtà, ma nessuno avrebbe il coraggio di farlo apertamente. Anche per questo l'esercizio della democrazia, come si è visto, non si riduce a un semplice aspetto procedurale e non si consuma neppure soltanto con l'irrinunziabile espressione del proprio suffragio nelle urne nelle occasioni elettorali. Presuppone lo sforzo di elaborare una visione del bene comune in cui sapientemente si intrecciano – perché tra loro inscindibili – libertà individuali e apertura sociale, bene della libertà e bene dell'umanità condivisa».

Occorre tornare a «essere alfabeti nella società», a prendere la parola, a partecipare. «La Repubblica», conclude Mattarella, «ha saputo percorrere molta strada, ma il compito di far sì che tutti prendano parte alla vita della sua società e delle sue istituzioni non si esaurisca mai».. Ogni generazione, ogni epoca, è attesa alla prova della “alfabetizzazione”, dell’inversione di tendenza della vita della democrazia. Prova, oggi, più complessa che mai, nella società tecnologica contemporanea. Ebbene, battetevi affinché non possiate essere “«analfabeti della democrazia» è una causa primaria, nobile, che ci riguarda tutti. Non soltanto chi riveste responsabilità o esercita potere. Per definizione, la democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita della comunità, perché la democrazia è camminare insieme».





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