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«Voglio costruire un nuovo centro, l’Italia ne ha bisogno»



Tajani con la premier Giorgia Meloni.

di Stefano Stimamiglio e Luciano Regolo

«Abbiamo programmato interventi per 2,3 miliardi di euro, di cui oltre 1,3 destinati all’Africa. Così, confermiamo che la cooperazione allo sviluppo è una componente strategica della nostra politica estera verso l’Africa, ed è quindi centrale anche nell’agenda della Presidenza italiana del G7, nel Piano Mattei e nell’impegno del Governo per la pace, la stabilità e la crescita. La programmazione prevede iniziative di sviluppo economico e creazione di impiego, risposta alla crisi umanitarie, in particolare Ucraina, Gaza, Sudan, Afghanistan e Siria, lotta alle malattie e contrasto alle spinte verso la migrazione irregolare.

È la notizia con cui ci accoglie alla Farnesina il vicepresidente del Consiglio e ministro degli esteri Antonio Tajani, senza alcun segno di affanno in un contesto piuttosto complesso sul piano interno, con le polemiche sulle riforme, l’avanzata della sinistra nelle grandi città alle amministrative e la brutta storia dell’antisemitismo imperante nella sezione giovanile di Fratelli d’Italia, ma anche su quello internazionale, col rischio di isolamento del nostro Paese nell’UE per la questione delle nuove nomine in seno alla Commissione, le guerre in Ucraina e Gaza che continuano a divampare, l’effetto del ciclone Le Pen in Francia e l’incognita delle elezioni presidenziali americane.

E c’è un’altra notizia che il ministro Tajani ci dà con un largo sorriso nel riceverci nel suo ufficio: «Abbiamo appena concluso con monsignor Rino Fisichella (pro-prefetto della sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo del Dicastero per l’evangelizzazione, ndr) l’accordo per l’allestimento del padiglione del Vaticano in una parte di quello italiano all’Esposizione universale di Osaka nel 2025. All’interno della sezione della Santa Sede verrà esposta la Deposizione di Cristo del Caravaggio custodita nei Musei vaticani».

Comincia poi il nostro botta e risposta con Tajani, che non si tira indietro, neppure davanti alle domande più scomode.

Si è da poco concluso il G7, sotto la presidenza italiana. Al di là del prestigio e dei vantaggi in termini di immagine, che risultati concreti ne sono derivati per l’Italia nelle relazioni internazionali?

«Certamente ha messo in luce un ruolo centrale del nostro Paese in un momento particolarmente delicato, lo ha riconosciuto anche l’ambasciatore degli Stati Uniti al ricevimento offerto per la festa nazionale americana del 4 luglio. Sono partiti messaggi che puntano ad allargare anche l’orizzonte dei paesi industrializzati, estendendo l’economia, diciamo così, di mercato ad altre realtà, quindi non a chiudersi ma ad aprirsi con un dialogo in grado di portare a una situazione di maggiore equilibrio e a un lavoro per la stabilità e la pace, per lo sviluppo anche delle relazioni commerciali. Come diceva l’economista francese Frederic Bastiat “dove non passano le merci, passeranno gli eserciti”. E a questo dobbiamo pensare perché abbiamo troppe tensioni in Medio Oriente e Ucraina che devono essere disinnescate. Dal G7 è certamente  passato un messaggio forte affinché si difenda la pace in Medio Oriente perché Israele comprenda la situazione, ma nellostesso tempo la condanna per gli atti terroristici compiuti da Hamas.

Il lavoro dei due popoli, dei due Stati non può essere fatto avendo come interlocutore Hamas. L’altro messaggio che è anche frutto dell’intervento di Papa Francesco è stato quello sull’intelligenza artificiale che è un’altra delle grandi sfide che non va sottovalutata: non possiamo pensare che sia l’intelligenza artificiale a regolare la vita dell’uomo, dev’ essere il contrario. È in gioco anche la tutela della democrazia, della libertà: se l’I.A. non è messa al servizio dell’uomo, ma  al servizio del potere c’è disinformazione, c’è condizionamento delle opinioni pubbliche, senza contare i rischi legati alla sicurezza cibernetica. Tutte questioni di primaria importanza, visto che  alcune grandi potenze autocratiche se ne servono per avere un controllo ».

Quanto è minaccioso il nuovo polo che si fa strada nello scacchiere delle relazioni internazionali, il cosiddetto Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa? Non crede che qualcosa nel modello occidentale andrebbe rivisto?

«L’Occidente non deve commettere l’errore di rinchiudersi, ma non si può neppure ribaltare il modello occidentale con tutti i difetti che ha avuto. È un po’ lo stesso discorso che vale per l’Europa, sono stati compiuti degli sbagli, ma non per questo bisogna distruggerla.

L’Occidente  non può viaggiare con i parametri di decenni fa, ma attenzione a non scardinarlo perché in qualche modo resta il garante dei diritti e delle libertà, non possiamo rinunciare alla democrazia per gli errori della democrazia». 

Accennava prima alle guerre in corso: si ha la sensazione che di fatto si si sia messo da parte il tentativo diplomatico di risolvere i conflitti. Fino a che punto si può sostenere l’Ucraina? Si può pensare anche a dotarla di armi in grado di colpire il territorio russo?

« Noi siamo dell’idea che l’Ucraina debba essere aiutata perché ha subito un’aggressione giusta in violazione del diritto internazionale. Però deve essere chiaro che noi non siamo in guerra con la Russia e le armi italiane, l’abbiamo detto in maniera molto chiara, non possono essere utilizzate fuori dal territorio ucraino. Loro lo sanno e devono anche documentare come le usano. Per noiquello che conta è l’integrità territoriale dell’Ucraina, non è l’offensiva. Quindi le armi italiane devono essere usate dentro il territorio nazionale ucraino. Per quanto riguarda il tentativo diplomatico, abbiamo partecipato al vertice in Svizzera. Mi auguro ce ne possa essere un altro, ma la Cina e la Russia non sono mai molto propensi, eppure c’erano tanti Paesi che hanno partecipato. Il dialogo, però, deve essere sempre tenuto aperto, fermo restando che dialogare non significa  l’accettazione della violazione del diritto internazionale. Lo stesso discorso vale per il Medio Oriente, noi dialoghiamo con l’autorità nazionale palestinese che riconosciamo, sosteniamo, aiutiamo, non è un caso che il nuovo primo ministro abbiamo iniziato il viaggio in Europa venendo proprio qui alla Farnesina».

Monsignor  Gian Carlo Perego, presidente di Migrantes, ha espresso e amarezza per il fatto che al G7 non sia stata spesa neppure una parola sui tanti morti in mare…

«Ma c’era anche il Santo Padre e non ne ha parlato…».

Papa Francesco rivolge continui appelli sul Mediterraneo tomba di persone in fuga da violenza e miseria. Al di là di quest’aspetto, qual è l’impegno del Governo su questa emergenza, riportata a galla dai recenti casi di Roccella e Lampedusa, e poi sul caporalato e sulle condizioni drammatiche in cui si trovano a vivere tanti immigrati nel nostro Paese?

«Lo scorso 27 giugno con la ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella, abbiamo designato Stefano Pizzicannella quale inviato speciale sui temi della tratta di esseri umani, attribuendogli compiti di interlocuzione con le organizzazioni europee e internazionali e con i principali partners e di coordinamento tecnico delle diverse amministrazioni nazionali. Il problema delle migrazioni non è una questione teorica, l’Africa conta circa un miliardo e mezzo di abitanti e nel 2050 saranno raddoppiati, se non si interviene lì, non può gestirsi il flusso emigratorio. Non  è colpa dell’Italia se muoiono i migranti in fuga, succede anche in  altre parti del Mediterraneo fuori dai nostri confini. Non si tratta di avercela con chi scappa, ma con chi li fa partire, chi li porta, chi fa loro false promesse. Nei casi più recenti i barconi naufragati erano partiti dalla Turchia. La verità è che bisognerebbe far partire solo i regolari, non ha senso dire “porti aperti” e poi non curarsi della sorte cui vanno incontro queste persone. Tanti muoiono in mare perché poi dove vanno? Se fanno dei viaggi in condizioni disumane o senza le necessarie garanzie è chiaro che le barche affondano.

Non si tratta di un’attività di polizia, ma di una strategia ampia, in cui rientra anche il piano Mattei. E la lotta ai trafficanti di persone è basilare in questa strategia Un impegno che grazie alle posizioni italiane è stato accolto anche dall’Europa. Poi c’è il problema dei migranti regolari, che, a mio avviso, devono avere tutti gli stessi diritti dei lavoratori italiani. Quanto è successo a Cisterna di Latina (il bracciante abbandonato in strada con l’arto amputato dopo un incidente di lavoro, ndr) è un obbrobrio che non deve più accadere. Purtroppo il caporalato è un male che persiste e stiamo operando anche per incrementare il numero degli ispettori sul lavoro. Tra l’altro ci sono anche tanti italiani non in regola. Bisogna pensare a una agevolazione fiscale per tutte le imprese che adottano i migliori sistemi per la sicurezza sul posto di lavoro. Con il “decreto flussi” si regolano gli arrivi, purtroppo abbiamo notato che anche sui migranti regolari ci sono operazioni strane dai dati, per esempio, risulta che in alcune regioni c’è un flusso di migranti superiore ai posti di lavoro disponibili, segno che la malavita non solo traffica sui migranti irregolari, ma cerca di farlo  anche sui regolari e questo perché flutano il business. Insomma, bisogna lavorare sulla tutela dei diritti, ma anche su una strategia molto più ampia: dalla formazione dei lavoratori (manca mano d’opera qualificata) ai rapporti con l’università, o al sostegno per rientrare in patria, trovando occupazione. È un impegno articolato, i due milardi e trecento milioni per la cooperazione internazionale vanno in questa direzione».

Però, il non lasciar partire chi fugge da Paesi teatro di violenze e soprusi, significa abbandonarli  a se stessi… «In Africa nel 2050 ci saranno 2 miliardi e mezzo, dove li mettiamo? Il problema è risolvere i problemi là, non qua, perché in teoria tutto è facile, in pratica è molto più complicato, perché quando tu non sai chi è che arriva e magari scappa dal centro d’accoglienza e non sai dove va, poi diventa una parte della malavita, organizzano loro stessi forme malavitose, ormai c’è una malavita organizzata di migranti: traffico di droga, traffico di prostituzione e così via.  È un serpente che si morde la coda, ecco perché la situazione va vista a 360 gradi. Poi, certo,  quando ci sono delle disgrazie, è chiaro che va fatto di tutto per salvare la gente in mare, ma quella è la punta dell’iceberg. Il punto è non cadere in una visione troppo semplicistica, non possiamo accogliere tutti, senza poter garantire un’occupazione, evitare che le persone arrivata vadano a delinquere o a lavorare in nero. L’immigrazione irregolare, poi, crea nell’opinione pubblica un sentimento di rigetto, non di integrazione.  Se non si risolvono i problemi in Africa rischiamo di trovarci davanti a flussi migratori ingestibili. Da questo tema nasce il piano Mattei, ma occorre un piano organizzato a livello Europeo, una sorta di piano Marshall, servono investimenti fuori da quella logica neocoloniale tipica di alcuni Paesi. In Africa c’è una presenza sempre maggiore di Cina, Iran e Russia, si erogano somme anche per opere pubbliche, non sempre di grande qualità, ma  il coinvolgimento della popolazione locale è allo zero. Bisogna quindi comprendere quale tipo di politica serve veramente per l’Africa.

Serve una strategia che non può essere solo  italiana,  noi facciamoquello che possiamo, ma occorre un impegno europeo, tanto più che tanti migranti arrivano qui ma vorrebbero andare altrove. Poi c’è tutta la questione della rotta balcanica, con persone che arrivano da terre in cui dilagano fenomeni come il traffico d’armi,  il terrorismo i foreign fighters.

Tornando all’Africa, dal canto nostro stiamo lavorando molto anche sul piano sanitario. Inviteremo Josè Barroso (ex presidente della Commissione Europea e grande esperto di finanza internazionale, ndr), presidente della Gavi Alliance. ente di cooperazione mondiale tra soggetti pubblici e privati, che punta a salvare la vita dei bambini e proteggere la salute generale aumentando l’accesso all’immunizzazione nei Paesi poveri, anche al G7, quello della cooperazione internazionale che si terrà a Pescara il 24-25 ottobre prossimi. Uno degli obiettivi è favorire la nascita dell’industria farmaceutica nel continente africano.In Africa la situazione è molto complicata, quindi bisogna lavorare in più direzioni e, come ho ribadito spesso, questa è una priorità della politica estera italiana. C’è anche da considerare la nostra presenza militare nell’area subsahariana, non vogliamo lasciare il Niger».

L’accordo con Tirana che prevede la realizzazione in Albania di due strutture per le “procedure di frontiera o di rimpatrio” ha suscitato diverse critiche, le Ong dicono che viola il diritto di asilo. Che cosa replica?

«Non c’è proprio una simile violazione, perché le regole sono molto chiare e i due centri sono sotto la giurisdizione italiana. L’Albania, poi, è un paese candidato a far parte dell’Ue quindi l’accordo rientra sempre in una strategia europea. Vanno lì soltanto quelli che provengono da paesi sicuri e quindi che possono essere rimpatriati e non certo soggetti fragili, ossia donne e bambini. Si tratta solo di brevi soggiorni per i soggetti che devono essere rimpatriati. Ed è anche un modo per alleggerire il nostro Sud, non è possibile che tutte le navi attracchino in Sicilia, Calabria, Sardegna o Puglia, perché poi si scatenano reazioni da parte delle popolazioni locali.

Chi arriva senza lavoro poi va mantenuto dallo Stato, bisogna trovargli un’occupazione e, quindi, metterli in regola. Ripeto: l’obiettivo dell’azione del governo non è prendersela col migrante, è prendersela con chi organizza il traffico di esseri umani. Questo è il problema. E poi alcune Ong, diciamolo, tendono a strumentalizzare ogni evento dal punto di vista mediatico e politico. Io stesso, in prima persona, ho collaborato con Sant’Egidio per favorire i corridoi umanitari. Se si vuole trovare il pelo nell’uovo o eccepire delle critiche a ogni costo, ogni decisione è contestabile. Però, poi, qual è la soluzione? Come si affronta il problema delle migrazioni? Non basta dire che non va bene nulla. Mi pare che quand’era ministro degli interni Minniti la posizione non fosse così flessibile, anzi forse era pure meno morbida di quella del governo di centrodestra».

Che cosa cambierà per l’Italia e per il mondo, se come sembra sempre più probabile dopo il confronto in tv tra i due candidati e la richiesta avanzata da più parti di sostituire Biden nella corsa alla Casa Bianca, Trump vincerà le elezioni?

«Io credo che per noi è e resterà fondamentale il rapporto con gli Stati Uniti d’America, che è il nostro principale partner extraeuropeo. Siamo due facce della stessa medaglia: l’Occidente. Lasciamo perdere i toni della campagna elettorale, perché sono convinto che chiunque vinca difficilmente possa prescindere dal rapporto privilegiato con l’Europa. Vedremo quello che accadrà, però poi diventerà importante anche la consapevolezza chee l’Europa ha un grande ruolo politico da svolgere. Ecco perché diciamo spesso che la difesa europea serve anche a riequilibrare i rapporti, perché stare sempre a chiedere agli Stati Uniti significa seguirne le iniziative perché noi non ne prendiamo. L’Europa ha lasciato troppi spazi vuoti, anche all’interno dell’Alleanza Atlantica. Deve esercitare un ruolo più forte. Spesso, invece, ci perdiamo in battaglie sulle piccole cose, trascurando le grandi questioni: la politica estera, la difesa comune, l’immigrazione. L’Italia da sola può affrontare il problema dell’Africa? No. Possiamo dare un contributo e ritorniamo al discorso iniziale. Ma l’UE ha il coraggio di ragionare in questi termini, mettendo da parte gli egoismi? Se si vuole il 100 per cento per sé, poi si rischia di avere lo zero per cento per tutti. In Libia l’Europa ha commesso una serie di errori e adesso ci sono i turchi, ci sono i russi, si perde spazio politico anche in quell’area. O l’Europa funziona o i paesi europei rischiano di essere sempre più marginalizzati».

La questione delle nomine della nuova Commissione, però, sembra mettere in luce un indebolimento dell’Italia nell’Unione Europea…

«La verità è che mancano dei leader nell’Europa, in grado di negoziare e smussare le divisioni coinvolgendo tutti i soggetti, come accadeva in passato. La divisione delle nomine è stata presentata al Ppe già fatta Su questo sono stato molto duro anche dentro il mio schieramento. Com’è maturata il tutto? Poche persone si sono sedute a un tavolino e hanno deciso come dovevano andare le cose, neppure il Ppe è stato coinvolto. Bastava fare una riunione prima, convincere della bontà di certe decisioni, si può arrivare agli stessi risultati ma creando aggregazione e non divisioni. Macron ha perso le elezioni europee e sembra non rendersi conto che siamo in una fase di cambiamento. Non può, al di là, della presidente Meloni e del suo partito, pretendere che sia esclusa l’Italia dalle nomine. Hanno escluso pure me che sono dentro il Ppe».

La presidente del Consiglio si è astenuta sul conferimento del secondo mandato a Ursula von der Leyen quale presidente della Commissione, e ha votato contro le nomine dell’ex primo ministro portoghese António Costa come presidente del Consiglio Europeo e della prima ministra dell’Estonia Kaja Kallas come Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza. Ha dichiarato poi che «sarebbe mostruoso se l’Europa facesse pagare all’Italia i nostri no»…

«Al Consiglio è passata una votazione borderline, lei si è astenuta dicendo che nel governo ci sono forse maggioranze diverse e quindi c’è chi è a favore e chi è contro. La Lega è contro, noi siamo a favore. Su Costa pure ci sono riserve anche dentro il PPe. Perché il PPe ha vinto le elezioni e porta a casa Ursula von der Leyen e due anni e mezzo di Metsola alla presidenza del Parlamento europeo, i socialisti porterebbero due anni e mezzo di chi verrà dopo Metsola e l’obiettivo è di prendere cinque anni di Costa. Il che equivarrebbe a dire che  chi vince e chi perde incassano allo stessomodo. I liberali, poi, sono scomparsi e prendono un altro rappresentante, fra l’altro del Nord che si preoccuperà soltanto del fronte russo. Il

problema è anche dentro il PPe. Abbiamo vinto e abbiamo preso poco. Io, nell’ultima riunione, glielo ho anche detto, a brutto muso: “Ricordate che nel governo italiano, la seconda forza politica in crescita, è Forza Italia, che è nel Partito Popolare Europeo? Io sono vicepresidente del Consiglio dei ministri e da 22 anni vicepresidente del Partito Popolare Europeo. Non è .  un governo in cui c’è solo la destra, di questo se n’è tenuto conto?”». 

Non crede che sia comprensibile una certa apprensione verso i sovranismi, cui fanno sponda la Lega e a volte anche Fratelli d’Italia?

«Ma più si fa così, più si dà agio a certe spinte. Andare allo scontro con i conservatori significa far accorpare i conservatori, renderli ancora più forti e coesi. La Meloni non è come la Le Pen se tu li metti tutti assieme, li spingi tutti da una parte,li fai accorpare e diventano il secondo gruppo al Parlamento Europeo dopo il Ppe. Non è che dall’altra parte si hanno tutti valori condivisi. Quando mi si dice che in una Costituzione va inserito l’aborto quale diritto umano, io da cattolico ho qualche perplessità, fermo restando il dettato della legge 194. Ecco perché dico che bisogna fare attenzione: su temi come questo il dialogo con i conservatori è importante . Mi viene in mente Andreotti quando parlava della “politica dei due forni”. Se tu dai spazio soltanto ai socialisti sei condannato a seguirli in tutto e per tutto. Lo stesso vale per i liberali o per i verdi,  per alcune cose i conservatori sono importanti, anche per  una visione dell’ambiente che non sia una nuova religione panteistica. Su questi e altri aspetti i conservatori la pensano come noi, quindi bisogna evitare di isolarli, per non diventare prigionieri di altre logiche con cui ci si può trovare in disaccordo. Va riconosciuto alla Meloni il merito di aver invitato per la prima volta nella storia il Papa al G7 per porre un tema etico, e Macron sollevando la questione dell’aborto da menzionare nel documento lo ha fatto solo per dare fastidio. Io non condivido tutto ciò che dice la Meloni, ma su questioni così importanti siamo d’accordo».

Anche lei pensa come dichiarato dalla premier che l’inchiesta di Fanpage che ha portato a galla l’antisemtismo nelle formazioni giovanili di Fratelli d’Italia, infiltrandosi nelle stesse, non sia lecita e sia segno di «una stampa di regime»?

«Lungi da me tollerare parole d’odio contro gli ebrei come quelle emerse che tra l’altro colpiscono pure la senatrice di Fratelli d’Italia Ester Mieli.. Sono ragazzini cretini, non educati perché quando non esiste più la famiglia, non esiste più niente. Però tutto ciò non va strumentalizzato. Il vero problema che noi abbiamo avuto in Italia è stata la dittatura culturale della sinistra, la stessa che poi ha crocefisso la Democrazia cristiana, con la storia che erano tutti mafiosi, mentre la mafia estendeva i suoi tentacoli in tutti i partiti. Oppure si additava la Dc come il partito finanziato dalle industrie che producevano armi, ma non è che nel Partito Comunista non arrivassero i soldi illeciti, arrivavano pure i fondi dall’Unione sovietica

Ricordiamoci che nel Triangolo Rosso dell’Emilia i fascisti erano una scusa, ma poi per una decina di fascisti uccisi, tra il 1943 e il 1949 furono ammazzati 200 preti, 200 liberali, altri 200 del Partito Popolare… Non possiamo arrivare a dire che la Salis è una santa, mentre quattro ragazzini idioti che fanno il saluto fascista sono preoccupanti. Preoccupa anche una persona che parte dall’Italia per andare a prendere a martellate in testa la gente  e poi ritorna e fa pure l’euro deputato passando per vittima. Io l’ho seguita e mi sono adoperato fosse assistita in tutti i modi possibili, come nostra concittadina perché i suoi diritti non fossero violati, però voglio ribadire proprio per questa battaglia culturale che bisogna essere sempre obiettivi».

Però le inchieste giornalistiche infiltrandosi in diverse realtà si sono sempre fatte, sono un capitolo importante nella storia del giornalismo e della libertà di stampa. Perché prendersela con i giornalisti?

«La Meloni ha dichiarato quello che pensa lei, si sa che ci sono differenze all’interno della maggioranza».

Si ha la sensazione che nelle riforme i compromessi tra le diverse posizioni abbiano dato luogo a misure distoniche, da un lato un forte decentramento con l’autonomia differenziata, fra l’altro estranea alla tradizione del suo partito, molto criticata anche dalla Cei perché rischia di aggravare i dislivelli tra le regioni più ricche e quelle più povere, dall’altro un rinforzamento notevole dell’esecutivo con il premierato e la separazione delle carriere nella magistratura. «All’autonomia differenziata noi  abbiamo posto una serie di paletti e istituirò un osservatorio del partito per monitorare tutta l’evoluzione perché non emergano danni o disfunzioni nel confronto con l’esperienza. Però ricordiamoci che di questa riforma si è fatta sostenitrice per prima la sinistra nel 2001».

Però in questo momento la voleva molto la Lega, o no?

«Sì,  lo ammetto, però ricordiamoci, la riforma della Costituzione l’ha fatta la sinistra. Bisogna sempre essere obiettivi, io cerco di essere obiettivo, perché quando c’è un errore di qua, non bisogna dimenticare quelli di là, bisogna stare sempre molto attenti quando si giudica. Io vorrei che fossero fatte delle scelte giuste, non di parte. Ho sempre detto che siamo diversi dai nostri alleati di governo. Però, non posso pensare che la proprietà è un furto, ma se teorizzo l’occupazione delle case, lo faccio e invece la proprietà è sempre frutto del lavoro. Non è che per condannare un errore si sposano gli errori degli altri. E soprattutto io diffido sempre dei moralisti, perché in genere sono amorali, e diffido sempre di chi pensa di avere la verità in tasca perché di verità per fortuna ce n’è una sola».

E sulle critiche alla riforma della magistratura che cosa replica? Alcuni magistrati, come Gratteri, hanno messo in luce una serie di rischi anche in termini di indebolimento dei mezzi investigativi contro la criminalità organizzata… «Questi sono anche quelli che non vogliono il test psicologico per entrare in magistratura. Non ho capito perché il magistrato non vi si deve sottoporre al contrario del carabiniere, del finanziere, del poliziotto che dipende dal magistrato, tuti obbligati a farlo. Non si sta parlando di chi già esercita questa funzione, ma di chi fa il concorso per entrare in magistratura. Si tratta di persone che avranno in mano la libertà di una persona. E lo dico proprio per il rispetto che ho di questo potere, porto il nome del primo magistrato antimafia della storia d’Italia, Diego Tajani. Gratteri ha detto che bisognerebbe sottoporre al test noi politici, io gli propongo di farlo insieme lui e io, per vedere chi risulta più equilibrato.

L’equilibrio dei poteri non significa che quello della magistratura deve essere assoluto. Sono forse democratici i i metodi usati da Di Pietro che ricorse alla carcerazione per ottenere delle confessioni che spesso poi si rivelarono non vere? Bisogna fare in modo che non si crei un potere inquisitorio, giustizialista. Durante la Santa Inquisizione c’era pure Torquemada, per una semplice voce si veniva condannati, messi al rogo. Ma non è certo questa la giustizia che vuole il cristianesimo.

C’è un potere sbilanciato con la polizia giudiziaria agli ordini della magistratura. E lo dico senza aver mai avuto a mio carico un avviso di garanzia, non sono un ricco, però penso anche a una giustizia giusta. La percentuale altissima degli inquisiti assolti dopo un decennio di detenzione ci squalifica di fronte a tutto il mondo. La gogna mediatica che segue a un arresto, anche quando si è incolpevoli, travolge le esistenze. Pensiamo al povero Tortora, fu massacrato senza aver fatto  nulla. È giusto che sia condannato chi solo chi è veramente colpevole, credo ciecamente nella giustizia, ma da garantista».

Anche il premierato era stato caro in passato alla sinistra, in particolare a Renzi. Ora la Meloni dice che è «madre di tutte le riforme»…

«Si tratta i risolvere il problema  della stabilità del governo». 

E secondo lei sarebbe un correttivo valido?

«Sicuramente dà maggiore stabilità. Il governo ha sempre fatto le cose con equilibrio. Restano in ogni caso i contrappesi: il Presidente della Repubblica,  il potere giudiziario e quello legislativo, non c’è solo l’esecutivo. Siamo un paese che per 12 anni ha avuto Presidenti del Consiglio, mai eletti, spesso neanche deputati.

Si facevano accordi strani, con maggioranze strane. Draghi non è mai stato eletto da nessuna parte. Si scovano sempre gli esterni però non è questo il succo della democrazia».

In realtà c’è chi obietta che quei premier furono comunque scelti da una maggioranza eletta del popolo, ossia sempre democrazia anche se indiretta. È un argomento che divide un po’ come tutti quelli al centro di queste riforme…

«Tutte le proposte al principio dividono, ma alla lunga non tutte lo sono, altrimenti non se ne salverebbe nessuna».

Non ci ha ancora detto se la preoccupa l’avanzata del Rassemblement National e di Marine Le Pen in Francia…

«Non me l’avete chiesto. Io sono su posizioni molto distanti, l’ho detto centomila volte e in alcuni casi ho replicato molto duramente ad affermazioni della Le Pen. Lo ribadisco: bisogna parlare con i conservatori e non con l’estrema destra. Però, è inutile arroccarsi sul “non voglio questo o quello”, perché poi se il popolo li vota, poi diventa tutto più difficile. Ricordo quando la Merkel, da abile leader, chiamò i conservatori polacchi  e se ne aggiudicò il voto per la von der Leyen dando loro il commissario all’agricoltura come volevano».

Il caso dell’Italia, all’interno, è emblematico da un lato emerge una rabbia che spesso sfocia nel sovranismo o nell’intolleranza, dall’altro la metà dei cittadini non va più a votare, segno di profondo malessere e di sfiducia nelle istituzioni. Che fare per ricoinvolgerli?

«Bisogna trovare  e proporre delle vere soluzioni alternative. Non basta dire dei no, solo dal confronto, dal dialogo possono venire fuori misure concrete e praticabili. Io non condivido tante posizioni, però sto cercando di costituire un punto di riferimento, una forza rassicurante. Il mio obiettivo è realizzare una forza politica che occupi lo spazio che c’è tra la Meloni e la Schlein. C’è una continua rissa davanti agli occhi del Paese e l’alternativa alla Meloni non può essere la Schlein. Non sono come lei o come la Salis, e non sono neppure come Salvini o la Meloni. E ci sono tanti moderati spaesati cui restituire fiducia. L’astensionismo si può “curare” con la buona politica, lavorando, parlando, proponendo idee. Per questo penso  a costruire una dimora rassicurante,  è il modo per coinvolgere le persone, cioè coinvolgere e farle partecipare. Ossia si tratta di realizzare qualcosa di diverso e non di parlare male degli latri. Non ho mai detto una parola contro la Schlein o contro nessun avversario politico. Combatto le idee, non le persone e cerco di dimostrare col mio comportamento che credo in ciò che penso, altrimenti la gente non ti segue».

Non pensa che comportamenti come la rissa a Montecitorio in occasione dell’approvazione dell’autonomia differenziati, o le parole con cui si è presentata la premier al presidente della regione nel suo viaggio in Campania, non aiutino a riavvicinare la gente alle istituzioni?

«Se la Meloni prende il 28% dei voti vuol dire che una buona fetta degli elettori crede in lei, Io voto per Forza Italia, sono diverso, però bisogna stare attenti a non dire “mai la Meloni!”. Perché per esempio, da cristiano  e non da politico, sono contento che la Meloni abbia avuto gli attributi per portare il Papa al G7 e di rifiutarsi di inserire il passaggio sull’aborto nel documento come voleva Macron. Allora su questo tema era meglio la nostra premier o il presidente francese?  Per quanto riguarda l’episodio della Campania, la Presidente del Consiglio ha ripetuto l’ingiuria che le aveva rivolto De Luca…»

Ma era un “fuorionda”, lei ha parlato in sede e nel ruolo ufficiale...

«Bisogna essere obiettivi. Se sbaglia De Luca va ammesso, anche dagli altri componenti del suo partito. La carica di Stato è d’esempio in ogni caso, in ogni funzione, trasversalmente. In quell’occasione diciamo che entrambi non sono stati due buoni esempi. Ma torno al discorso di partenza, ragionando da cristiano democratico: se vuoi fare la battaglia a difesa della vita i conservatori te li trovi dalla tua parte, i socialisti no e allora è importante la battaglia su quel valore. Poi, certo, è importante l’accordo politico, ma per me è più importante quello sui valori. E poi lo l’ho sempre ammesso, da vero popolare, sono più affine al centro-destra che al centro-sinistra, anche se del primo mi lasciano perplesso tante cose e non sopporto vicende come quella dei ragazzini antisemiti o certi slogan nostalgici che affiorano di tanto in tanto. È il famoso centro che manca e che sto cercando di costruire».

 

Da sinistra, Tajani, don Stefano Stimamiglio e Luciano Regolo durante l'intervista.


Da sinistra, Tajani, don Stefano Stimamiglio e Luciano Regolo durante l’intervista.



Accennava prima alle guerre in corso: si ha la sensazione che di fatto si si sia messo da parte il tentativo diplomatico di risolvere i conflitti. Fino a che punto si può sostenere l’Ucraina? Si può pensare anche a dotarla di armi in grado di colpire il territorio russo?

« Noi siamo dell’idea che l’Ucraina debba essere aiutata perché ha subito un’aggressione giusta in violazione del diritto internazionale. Però deve essere chiaro che noi non siamo in guerra con la Russia e le armi italiane, l’abbiamo detto in maniera molto chiara, non possono essere utilizzate fuori dal territorio ucraino. Loro lo sanno e devono anche documentare come le usano. Per noiquello che conta è l’integrità territoriale dell’Ucraina, non è l’offensiva. Quindi le armi italiane devono essere usate dentro il territorio nazionale ucraino. Per quanto riguarda il tentativo diplomatico, abbiamo partecipato al vertice in Svizzera. Mi auguro ce ne possa essere un altro, ma la Cina e la Russia non sono mai molto propensi, eppure c’erano tanti Paesi che hanno partecipato. Il dialogo, però, deve essere sempre tenuto aperto, fermo restando che dialogare non significa  l’accettazione della violazione del diritto internazionale. Lo stesso discorso vale per il Medio Oriente, noi dialoghiamo con l’autorità nazionale palestinese che riconosciamo, sosteniamo, aiutiamo, non è un caso che il nuovo primo ministro abbiamo iniziato il viaggio in Europa venendo proprio qui alla Farnesina».

Monsignor  Gian Carlo Perego, presidente di Migrantes, ha espresso e amarezza per il fatto che al G7 non sia stata spesa neppure una parola sui tanti morti in mare…

«Ma c’era anche il Santo Padre e non ne ha parlato…».

Papa Francesco rivolge continui appelli sul Mediterraneo tomba di persone in fuga da violenza e miseria. Al di là di quest’aspetto, qual è l’impegno del Governo su questa emergenza, riportata a galla dai recenti casi di Roccella e Lampedusa, e poi sul caporalato e sulle condizioni drammatiche in cui si trovano a vivere tanti immigrati nel nostro Paese?

«Lo scorso 27 giugno con la ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella, abbiamo designato Stefano Pizzicannella quale inviato speciale sui temi della tratta di esseri umani, attribuendogli compiti di interlocuzione con le organizzazioni europee e internazionali e con i principali partners e di coordinamento tecnico delle diverse amministrazioni nazionali. Il problema delle migrazioni non è una questione teorica, l’Africa conta circa un miliardo e mezzo di abitanti e nel 2050 saranno raddoppiati, se non si interviene lì, non può gestirsi il flusso emigratorio. Non  è colpa dell’Italia se muoiono i migranti in fuga, succede anche in  altre parti del Mediterraneo fuori dai nostri confini. Non si tratta di avercela con chi scappa, ma con chi li fa partire, chi li porta, chi fa loro false promesse. Nei casi più recenti i barconi naufragati erano partiti dalla Turchia. La verità è che bisognerebbe far partire solo i regolari, non ha senso dire “porti aperti” e poi non curarsi della sorte cui vanno incontro queste persone. Tanti muoiono in mare perché poi dove vanno? Se fanno dei viaggi in condizioni disumane o senza le necessarie garanzie è chiaro che le barche affondano.

Non si tratta di un’attività di polizia, ma di una strategia ampia, in cui rientra anche il piano Mattei. E la lotta ai trafficanti di persone è basilare in questa strategia Un impegno che grazie alle posizioni italiane è stato accolto anche dall’Europa. Poi c’è il problema dei migranti regolari, che, a mio avviso, devono avere tutti gli stessi diritti dei lavoratori italiani. Quanto è successo a Cisterna di Latina (il bracciante abbandonato in strada con l’arto amputato dopo un incidente di lavoro, ndr) è un obbrobrio che non deve più accadere. Purtroppo il caporalato è un male che persiste e stiamo operando anche per incrementare il numero degli ispettori sul lavoro. Tra l’altro ci sono anche tanti italiani non in regola. Bisogna pensare a una agevolazione fiscale per tutte le imprese che adottano i migliori sistemi per la sicurezza sul posto di lavoro. Con il “decreto flussi” si regolano gli arrivi, purtroppo abbiamo notato che anche sui migranti regolari ci sono operazioni strane dai dati, per esempio, risulta che in alcune regioni c’è un flusso di migranti superiore ai posti di lavoro disponibili, segno che la malavita non solo traffica sui migranti irregolari, ma cerca di farlo  anche sui regolari e questo perché flutano il business. Insomma, bisogna lavorare sulla tutela dei diritti, ma anche su una strategia molto più ampia: dalla formazione dei lavoratori (manca mano d’opera qualificata) ai rapporti con l’università, o al sostegno per rientrare in patria, trovando occupazione. È un impegno articolato, i due milardi e trecento milioni per la cooperazione internazionale vanno in questa direzione».

Però, il non lasciar partire chi fugge da Paesi teatro di violenze e soprusi, significa abbandonarli  a se stessi… «In Africa nel 2050 ci saranno 2 miliardi e mezzo, dove li mettiamo? Il problema è risolvere i problemi là, non qua, perché in teoria tutto è facile, in pratica è molto più complicato, perché quando tu non sai chi è che arriva e magari scappa dal centro d’accoglienza e non sai dove va, poi diventa una parte della malavita, organizzano loro stessi forme malavitose, ormai c’è una malavita organizzata di migranti: traffico di droga, traffico di prostituzione e così via.  È un serpente che si morde la coda, ecco perché la situazione va vista a 360 gradi. Poi, certo,  quando ci sono delle disgrazie, è chiaro che va fatto di tutto per salvare la gente in mare, ma quella è la punta dell’iceberg. Il punto è non cadere in una visione troppo semplicistica, non possiamo accogliere tutti, senza poter garantire un’occupazione, evitare che le persone arrivata vadano a delinquere o a lavorare in nero. L’immigrazione irregolare, poi, crea nell’opinione pubblica un sentimento di rigetto, non di integrazione.  Se non si risolvono i problemi in Africa rischiamo di trovarci davanti a flussi migratori ingestibili. Da questo tema nasce il piano Mattei, ma occorre un piano organizzato a livello Europeo, una sorta di piano Marshall, servono investimenti fuori da quella logica neocoloniale tipica di alcuni Paesi. In Africa c’è una presenza sempre maggiore di Cina, Iran e Russia, si erogano somme anche per opere pubbliche, non sempre di grande qualità, ma  il coinvolgimento della popolazione locale è allo zero. Bisogna quindi comprendere quale tipo di politica serve veramente per l’Africa.

Serve una strategia che non può essere solo  italiana,  noi facciamoquello che possiamo, ma occorre un impegno europeo, tanto più che tanti migranti arrivano qui ma vorrebbero andare altrove. Poi c’è tutta la questione della rotta balcanica, con persone che arrivano da terre in cui dilagano fenomeni come il traffico d’armi,  il terrorismo i foreign fighters.

Tornando all’Africa, dal canto nostro stiamo lavorando molto anche sul piano sanitario. Inviteremo Josè Barroso (ex presidente della Commissione Europea e grande esperto di finanza internazionale, ndr), presidente della Gavi Alliance. ente di cooperazione mondiale tra soggetti pubblici e privati, che punta a salvare la vita dei bambini e proteggere la salute generale aumentando l’accesso all’immunizzazione nei Paesi poveri, anche al G7, quello della cooperazione internazionale che si terrà a Pescara il 24-25 ottobre prossimi. Uno degli obiettivi è favorire la nascita dell’industria farmaceutica nel continente africano.In Africa la situazione è molto complicata, quindi bisogna lavorare in più direzioni e, come ho ribadito spesso, questa è una priorità della politica estera italiana. C’è anche da considerare la nostra presenza militare nell’area subsahariana, non vogliamo lasciare il Niger».e sto

Ilaria Salis.


Ilaria Salis.



Non crede che sia comprensibile una certa apprensione verso i sovranismi, cui fanno sponda la Lega e a volte anche Fratelli d’Italia?

«Ma più si fa così, più si dà agio a certe spinte. Andare allo scontro con i conservatori significa far accorpare i conservatori, renderli ancora più forti e coesi. La Meloni non è come la Le Pen se tu li metti tutti assieme, li spingi tutti da una parte,li fai accorpare e diventano il secondo gruppo al Parlamento Europeo dopo il Ppe. Non è che dall’altra parte si hanno tutti valori condivisi. Quando mi si dice che in una Costituzione va inserito l’aborto quale diritto umano, io da cattolico ho qualche perplessità, fermo restando il dettato della legge 194. Ecco perché dico che bisogna fare attenzione: su temi come questo il dialogo con i conservatori è importante . Mi viene in mente Andreotti quando parlava della “politica dei due forni”. Se tu dai spazio soltanto ai socialisti sei condannato a seguirli in tutto e per tutto. Lo stesso vale per i liberali o per i verdi,  per alcune cose i conservatori sono importanti, anche per  una visione dell’ambiente che non sia una nuova religione panteistica. Su questi e altri aspetti i conservatori la pensano come noi, quindi bisogna evitare di isolarli, per non diventare prigionieri di altre logiche con cui ci si può trovare in disaccordo. Va riconosciuto alla Meloni il merito di aver invitato per la prima volta nella storia il Papa al G7 per porre un tema etico, e Macron sollevando la questione dell’aborto da menzionare nel documento lo ha fatto solo per dare fastidio. Io non condivido tutto ciò che dice la Meloni, ma su questioni così importanti siamo d’accordo».

Anche lei pensa come dichiarato dalla premier che l’inchiesta di Fanpage che ha portato a galla l’antisemtismo nelle formazioni giovanili di Fratelli d’Italia, infiltrandosi nelle stesse, non sia lecita e sia segno di «una stampa di regime»?

«Lungi da me tollerare parole d’odio contro gli ebrei come quelle emerse che tra l’altro colpiscono pure la senatrice di Fratelli d’Italia Ester Mieli.. Sono ragazzini cretini, non educati perché quando non esiste più la famiglia, non esiste più niente. Però tutto ciò non va strumentalizzato. Il vero problema che noi abbiamo avuto in Italia è stata la dittatura culturale della sinistra, la stessa che poi ha crocefisso la Democrazia cristiana, con la storia che erano tutti mafiosi, mentre la mafia estendeva i suoi tentacoli in tutti i partiti. Oppure si additava la Dc come il partito finanziato dalle industrie che producevano armi, ma non è che nel Partito Comunista non arrivassero i soldi illeciti, arrivavano pure i fondi dall’Unione sovietica

Ricordiamoci che nel Triangolo Rosso dell’Emilia i fascisti erano una scusa, ma poi per una decina di fascisti uccisi, tra il 1943 e il 1949 furono ammazzati 200 preti, 200 liberali, altri 200 del Partito Popolare… Non possiamo arrivare a dire che la Salis è una santa, mentre quattro ragazzini idioti che fanno il saluto fascista sono preoccupanti. Preoccupa anche una persona che parte dall’Italia per andare a prendere a martellate in testa la gente  e poi ritorna e fa pure l’euro deputato passando per vittima. Io l’ho seguita e mi sono adoperato fosse assistita in tutti i modi possibili, come nostra concittadina perché i suoi diritti non fossero violati, però voglio ribadire proprio per questa battaglia culturale che bisogna essere sempre obiettivi».

Però le inchieste giornalistiche infiltrandosi in diverse realtà si sono sempre fatte, sono un capitolo importante nella storia del giornalismo e della libertà di stampa. Perché prendersela con i giornalisti?

«La Meloni ha dichiarato quello che pensa lei, si sa che ci sono differenze all’interno della maggioranza».

Si ha la sensazione che nelle riforme i compromessi tra le diverse posizioni abbiano dato luogo a misure distoniche, da un lato un forte decentramento con l’autonomia differenziata, fra l’altro estranea alla tradizione del suo partito, molto criticata anche dalla Cei perché rischia di aggravare i dislivelli tra le regioni più ricche e quelle più povere, dall’altro un rinforzamento notevole dell’esecutivo con il premierato e la separazione delle carriere nella magistratura. «All’autonomia differenziata noi  abbiamo posto una serie di paletti e istituirò un osservatorio del partito per monitorare tutta l’evoluzione perché non emergano danni o disfunzioni nel confronto con l’esperienza. Però ricordiamoci che di questa riforma si è fatta sostenitrice per prima la sinistra nel 2001».

Però in questo momento la voleva molto la Lega, o no?

«Sì,  lo ammetto, però ricordiamoci, la riforma della Costituzione l’ha fatta la sinistra. Bisogna sempre essere obiettivi, io cerco di essere obiettivo, perché quando c’è un errore di qua, non bisogna dimenticare quelli di là, bisogna stare sempre molto attenti quando si giudica. Io vorrei che fossero fatte delle scelte giuste, non di parte. Ho sempre detto che siamo diversi dai nostri alleati di governo. Però, non posso pensare che la proprietà è un furto, ma se teorizzo l’occupazione delle case, lo faccio e invece la proprietà è sempre frutto del lavoro. Non è che per condannare un errore si sposano gli errori degli altri. E soprattutto io diffido sempre dei moralisti, perché in genere sono amorali, e diffido sempre di chi pensa di avere la verità in tasca perché di verità per fortuna ce n’è una sola».

E sulle critiche alla riforma della magistratura che cosa replica? Alcuni magistrati, come Gratteri, hanno messo in luce una serie di rischi anche in termini di indebolimento dei mezzi investigativi contro la criminalità organizzata… «Questi sono anche quelli che non vogliono il test psicologico per entrare in magistratura. Non ho capito perché il magistrato non vi si deve sottoporre al contrario del carabiniere, del finanziere, del poliziotto che dipende dal magistrato, tuti obbligati a farlo. Non si sta parlando di chi già esercita questa funzione, ma di chi fa il concorso per entrare in magistratura. Si tratta di persone che avranno in mano la libertà di una persona. E lo dico proprio per il rispetto che ho di questo potere, porto il nome del primo magistrato antimafia della storia d’Italia, Diego Tajani. Gratteri ha detto che bisognerebbe sottoporre al test noi politici, io gli propongo di farlo insieme lui e io, per vedere chi risulta più equilibrato.

L’equilibrio dei poteri non significa che quello della magistratura deve essere assoluto. Sono forse democratici i i metodi usati da Di Pietro che ricorse alla carcerazione per ottenere delle confessioni che spesso poi si rivelarono non vere? Bisogna fare in modo che non si crei un potere inquisitorio, giustizialista. Durante la Santa Inquisizione c’era pure Torquemada, per una semplice voce si veniva condannati, messi al rogo. Ma non è certo questa la giustizia che vuole il cristianesimo.

C’è un potere sbilanciato con la polizia giudiziaria agli ordini della magistratura. E lo dico senza aver mai avuto a mio carico un avviso di garanzia, non sono un ricco, però penso anche a una giustizia giusta. La percentuale altissima degli inquisiti assolti dopo un decennio di detenzione ci squalifica di fronte a tutto il mondo. La gogna mediatica che segue a un arresto, anche quando si è incolpevoli, travolge le esistenze. Pensiamo al povero Tortora, fu massacrato senza aver fatto  nulla. È giusto che sia condannato chi solo chi è veramente colpevole, credo ciecamente nella giustizia, ma da garantista».

Anche il premierato era stato caro in passato alla sinistra, in particolare a Renzi. Ora la Meloni dice che è «madre di tutte le riforme»…

«Si tratta i risolvere il problema  della stabilità del governo». 

E secondo lei sarebbe un correttivo valido?

«Sicuramente dà maggiore stabilità. Il governo ha sempre fatto le cose con equilibrio. Restano in ogni caso i contrappesi: il Presidente della Repubblica,  il potere giudiziario e quello legislativo, non c’è solo l’esecutivo. Siamo un paese che per 12 anni ha avuto Presidenti del Consiglio, mai eletti, spesso neanche deputati.

Si facevano accordi strani, con maggioranze strane. Draghi non è mai stato eletto da nessuna parte. Si scovano sempre gli esterni però non è questo il succo della democrazia».

In realtà c’è chi obietta che quei premier furono comunque scelti da una maggioranza eletta del popolo, ossia sempre democrazia anche se indiretta. È un argomento che divide un po’ come tutti quelli al centro di queste riforme…

«Tutte le proposte al principio dividono, ma alla lunga non tutte lo sono, altrimenti non se ne salverebbe nessuna».

Non ci ha ancora detto se la preoccupa l’avanzata del Rassemblement National e di Marine Le Pen in Francia…

«Non me l’avete chiesto. Io sono su posizioni molto distanti, l’ho detto centomila volte e in alcuni casi ho replicato molto duramente ad affermazioni della Le Pen. Lo ribadisco: bisogna parlare con i conservatori e non con l’estrema destra. Però, è inutile arroccarsi sul “non voglio questo o quello”, perché poi se il popolo li vota, poi diventa tutto più difficile. Ricordo quando la Merkel, da abile leader, chiamò i conservatori polacchi  e se ne aggiudicò il voto per la von der Leyen dando loro il commissario all’agricoltura come volevano».

Il caso dell’Italia, all’interno, è emblematico da un lato emerge una rabbia che spesso sfocia nel sovranismo o nell’intolleranza, dall’altro la metà dei cittadini non va più a votare, segno di profondo malessere e di sfiducia nelle istituzioni. Che fare per ricoinvolgerli?

«Bisogna trovare  e proporre delle vere soluzioni alternative. Non basta dire dei no, solo dal confronto, dal dialogo possono venire fuori misure concrete e praticabili. Io non condivido tante posizioni, però sto cercando di costituire un punto di riferimento, una forza rassicurante. Il mio obiettivo è realizzare una forza politica che occupi lo spazio che c’è tra la Meloni e la Schlein. C’è una continua rissa davanti agli occhi del Paese e l’alternativa alla Meloni non può essere la Schlein. Non sono come lei o come la Salis, e non sono neppure come Salvini o la Meloni. E ci sono tanti moderati spaesati cui restituire fiducia. L’astensionismo si può “curare” con la buona politica, lavorando, parlando, proponendo idee. Per questo penso  a costruire una dimora rassicurante,  è il modo per coinvolgere le persone, cioè coinvolgere e farle partecipare. Ossia si tratta di realizzare qualcosa di diverso e non di parlare male degli latri. Non ho mai detto una parola contro la Schlein o contro nessun avversario politico. Combatto le idee, non le persone e cerco di dimostrare col mio comportamento che credo in ciò che penso, altrimenti la gente non ti segue».

Non pensa che comportamenti come la rissa a Montecitorio in occasione dell’approvazione dell’autonomia differenziati, o le parole con cui si è presentata la premier al presidente della regione nel suo viaggio in Campania, non aiutino a riavvicinare la gente alle istituzioni?

«Se la Meloni prende il 28% dei voti vuol dire che una buona fetta degli elettori crede in lei, Io voto per Forza Italia, sono diverso, però bisogna stare attenti a non dire “mai la Meloni!”. Perché per esempio, da cristiano  e non da politico, sono contento che la Meloni abbia avuto gli attributi per portare il Papa al G7 e di rifiutarsi di inserire il passaggio sull’aborto nel documento come voleva Macron. Allora su questo tema era meglio la nostra premier o il presidente francese?  Per quanto riguarda l’episodio della Campania, la Presidente del Consiglio ha ripetuto l’ingiuria che le aveva rivolto De Luca…»

Ma era un “fuorionda”, lei ha parlato in sede e nel ruolo ufficiale...

«Bisogna essere obiettivi. Se sbaglia De Luca va ammesso, anche dagli altri componenti del suo partito. La carica di Stato è d’esempio in ogni caso, in ogni funzione, trasversalmente. In quell’occasione diciamo che entrambi non sono stati due buoni esempi. Ma torno al discorso di partenza, ragionando da cristiano democratico: se vuoi fare la battaglia a difesa della vita i conservatori te li trovi dalla tua parte, i socialisti no e allora è importante la battaglia su quel valore. Poi, certo, è importante l’accordo politico, ma per me è più importante quello sui valori. E poi lo l’ho sempre ammesso, da vero popolare, sono più affine al centro-destra che al centro-sinistra, anche se del primo mi lasciano perplesso tante cose e non sopporto vicende come quella dei ragazzini antisemiti o certi slogan nostalgici che affiorano di tanto in tanto. È il famoso centro che manca e che cercando di costruire».





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