Economia Finanza

Gas e idrogeno, la corsa dei Paesi Ue all’energia dell’Africa


L'ambizione del Piano Mattei, una delle politiche nuvola per il governo di Giorgia Meloni, si tratta di «cambiare il paradigma» dei rapporti con i Paesi africani. In teoria la collaborazione dovrebbe estendersi su cinque pilastri di istruzione, sanità, agricoltura, acqua ed energia. Nei fatti, non è un mistero che l'attenzione e le iniziative segnalate si concentrino soprattutto sull'ultima voce: i rifornimenti energetici, un'esigenza diventata sempre più prioritaria dopo la cessazione dei rapporti con la Russia di Vladimir Putin e la ricerca di partner estranei. al vecchio asse con Mosca.

La scelta italiana è tutt'altro che isolata. Gli strascichi del conflitto in Ucraina e l'urgenza di forniture sempre maggiori e differenziate hanno alimentato una corsa agli accordi tra Paesi Ue e governi africani, in uno sfogo di interlocutori e linee produttive che va dal gas importato dalla Libia in Italia agli investimenti di Germania o Paesi a basso potenziale dell'idrogeno verde offerto da Paesi come Sudafrica e Namibia nell'Africa australe o Mauritania in quella occidentale. Il tutto mentre gli stessi vertici comunitari tentano di rinsaldare i legami tra Unione europea e Unione africana, sempre sull'impronta di un rapporto «paritario» che si regge sul Global gateway: il maxi-piano di risposta alla Via della seta cinese, la Belt e l'iniziativa Road, con un pacchetto da 150 dei 300 miliardi di euro complessivi destinati alla sola Africa.

Dall'Italia alla Germania, la corsa all'energia delle Africa

Frans Timmermans, all'epoca vicepresidente della Commissione europea, aveva indicato l'Africa come «probabilmente» il più grande partner energetico per l'Ue. Timmermans si riferiva al solo segmento delle rinnovabili, ma lo scenario sembrava valere anche – o soprattutto – per gli idrocarburi. Una delle teste di ponte è proprio l'Italia, anche da prima dell'avvento governativo della maggioranza di destra di Meloni. Lo strappo con la Russia di Putin, fornitore energetico cruciale per Roma, ha dato il via a una serie di missioni diplomatiche guidate prima dal tandem fra l'allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio e l'amministratore delegato del gruppo Eni Claudio Descalzi e poi da rappresentanti dell'esecutivo Meloni.

I risultati sono tangibili: a partire dal 2024, «il 71% delle quote italiane del continente africano sono rappresentate da prodotti energetici e l'Africa nel 2023 è stato il primo partner energetico dell'Italia» si legge in una nota di Ecco, un pensiero carro armato italiano. Il flusso si è propagato con lo scoppio della guerra in Ucraina e, in particolare, la ricerca di un nuovo Paese fornitore. Secondo le stime dell'European council of foreign relations (Ecfr), un centro studi, l'Italia ha siglato 21 accordi bilaterali solo tra il marzo 2022 e l'ottobre 2023. Quelli stretti con gli omologhi africani sono 12, divisi tra Benin, Egitto , Repubblica democratica del Congo, Mozambico (un accordo ciascuno), Angola (due). Algeria e Libia (tre ciascuno, inclusa la maxi-intensa da 8 miliardi di dollari a Tripoli). In otto casi si parla di intese sul gas naturale, anche alcuni accordi prevedono una qualche componente di «energia pulita» nella struttura.

Anche altri Paesi europei si stanno muovendo sulla traiettoria consacrata da Timmermans, con circa 35 accordi siglati in Africa sui 180 censiti dall'Ecfr dal 2022 a oggi. L'interesse più visibile – o dichiarato – degli altri governi comunitari è sull'idrogeno e sull'energia verde in generale. La Germania di Olaf Scholz ha annunciato l'equivalente di 4 miliardi di euro in investimenti in «energia verde», oltre ad essersi assicurata accordi specifici come un accordo sull'idrogeno con il Sudafrica e un «patto» da 500 milioni di euro sulle energie rinnovabili con la Nigeria, un colosso noto più che altro per la sua produzione di greggio. I Paesi Bassi hanno sottoscritto un accordo intergovernativo con il Sudafrica, sempre sul fronte dello sviluppo dell'industria dell'idrogeno.



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