Economia Finanza

Pure il delfino Attal si smarca da Macron e sogna di guidare la “grande coalizione”




L'unica certezza all'interno dei ranghi delle «Macronie» è che il presidente della Repubblica abbia perso il filo del suo secondo mandato; a metà del guado. Anche all'Eliseo è infatti considerato ormai Gabriel Attal, 35 anni, il capo della maggioranza «presidenziale». Da giorni il premier uscente gira per la Francia ripetendo che si tratta di scegliere il nuovo capo del governo, non il presidente; smarcandosi bruscamente dall'uomo che l'ha fatto primo ministro. E soprattutto dall'idea che voteranno domani i candidati dell'Ensemble significherebbe in realtà scegliere Macron.

Di fatto è così. Ma l'operazione messa in atto nel campo di Attal è più sottile. E corre sul filo della sopravvivenza del centro liberale un po' «di destra e di sinistra» uscito vittorioso nel 2017, ammantato nel 2022, privato della maggioranza assoluta, fino all'odierno tentativo di ricostituirsi (e magari allargarsi alla sinistra) attorno alla figura del giovane ex ministro dell'Istruzione; una delle personalità politiche con il più alto gradimento in Francia.

Quasi certamente, domenica sera il presidente riprenderà di nuovo la parola. Ma a meno di 48 ore dal possibile salto nel vuoto, a causa di un'indicazione poco chiara delle urne, ieri è stato proprio Attal a chiudere la sua campagna elettorale a Parigi, affermando che il «suo» governo potrà garantire la continuità dello Stato « per tutto il tempo necessario» dopo la legislatura. Magari nel caso della mancata vittoria netta del Rassemblement national imparando anche dai comunisti, socialisti e verdi (freddini verso questa ipotesi).

«Abbiamo un dirigente al lavoro mobilitato in tutti i settori», ha rassicurato Attal. Che ieri ha incassato però i pesci di una trentina di militanti neogollisti da cui è stato costretto a scappare in diretta tv. Dal sorriso, un altro tetro «andiamo via» sussurrato ai suoi. Era previsto un mini-comizio in una brasserie parigina. Si è rifugiato in un mercato più confortevole. La strategia è chiara: smarcarsi il più possibile dall'ingombrante figura di Macron e portare i «suoi» candidati (potrai chiamarli oggi macroniani) nei collegi dove sono al ballottaggio grazie alle desistenze della sinistra e dell'estrema sinistra di Mélenchon. Poco importa che il ministro dell'Interno Gérald Darmanin, pure lui candidato in cerca di conferma (in sfida al «ballottaggio» con un legittimo) dica in tv che non è d'accordo con il votante Mélenchon pur di impedire a Bardella di avere la maggioranza. «Personalmente», spiega Darmanin, non voterò mai per un candidato della France Insoumise, né chiederò di farlo in caso di duello con Rn. «Non credo si possa combattere l'estrema destra contro l'estrema sinistra». Per Attal invece è «una responsabilità farlo».

Quel che è certo è che qualunque sarà l'esito del secondo turno per la prima volta Macron sarà costretto a nominare non solo un capo del governo che non l'ha sostenuto (o non lo sostiene più apertamente) ma che non sarà lui a scegliere. Alla domanda se Matignon lascerà, Attal ha detto che sta affrontando le cose «passo passo».

Chi invece si è affrettato a comprendere gli sviluppi è Macron: se le urne non danno un'indicazione chiara dopo il suo azzardo sul voto anticipato, potrebbe perfino lasciare che si assumano una responsabilità. Ma pochi ci credono.



Source link

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *