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Vino, cattive notizie: il mercato Usa non riparte. Lollobrigida: tavolo sui dealcolati


Non si è ripreso il mercato dei vini negli Stati Uniti e questa non è certo una buona notizia per le aziende italiane, che avevano sperato in un'inversione di tendenza dopo la spirale di aprile (+2%). Il saldo tendenziale dei primi 5 mesi dell'anno basato sugli ordini dei magazzini del settore horeca e grande distribuzione segna un -8% sulle vendite complessive e un -6% per i prodotti del Belpaese. «E anche l'ipoteca fine del surplus di magazzino tra i distributori resta una chimera, visto che il rapporto tra stock di alcolici e vendite effettive viaggia ancora a livelli molto alti con un'eccedenza di circa 10 miliardi di dollari». E' quanto rilevato, oggi a Roma nel corso dell'assemblea generale dell'Unione italiana vinidall'Osservatorio Uiv-Vinitaly sulla base di SipSource, piattaforma che misura le vendite – e i consumi effettivi nel breve termine – nel 75% degli affari commerciali statunitensi.

L'Italia (-6%) fa meglio di Francia e Stati Uniti (-8%), di Australia e Spagna (-11% e -10%)ma non della sin qui inossidabile Nuova Zelanda, scesa anch'essa in territorio negativo (-1%). Per il nostro Paese, a fare meno peggio sono questa volta i rossi (sottozero da settembre 2022), che chiudono i cinque mesi a -6,5% contro il -8% dei bianchi. Poteva andare peggio – sottolinea l'Osservatorio – senza la stabilità del Prosecco (-0,6%) e dell'Asti (+1,6%) ma soprattutto senza la crescita rilevante dei metodi charmat non Prosecco (+7%)che oggi valgono il 24% dei volumi di spumante italiano consumati negli Usa: «Un dato in netta controtendenza, quello degli charmat tricolori a basso costo (prezzo medio al consumo attorno ai 13 dollari), rispetto all'andamento delle bollicine nel primo mercato al mondo, con lo Champagne a -15%, il Cava spagnolo a -11% e gli spumanti nazionali a -11%. Un dato, infine, evidentemente generato dalla forte tendenza cocktail che abbraccia sempre più la categoria, con crescite tumultuose tra gli 8 e i 13 dollari: +40% da gennaio a maggio. Una pulsione dal basso che sembra ormai concentrata in due aree ben definite: la West Coast (+36% di vendite e 30% di quota) e il Midwest (+9% e 18% di quota)».

«Sapevamo che sarebbe stato un inizio d'anno complicato – ha detto il presidente Uiv, Lamberto Frescobaldi – ma sappiamo anche che il vino italiano ha Antichità adeguate per reagire alle difficoltà. In questa fase bisogna però fare le mosse giuste: c'è l'esigenza di sostenere un cambiamento in atto già da vent'anni nella vigna italiana. Il settore si sta adattando ai mutati stili di consumo modificando il proprio potenziale produttivo migliore di altri Paesi, dimostrando che oggi gli spumanti italiani rappresentano il 33% del totale dei consumi di vino del Belpaese negli Usa, quasi il quadruplo rispetto alla quota spumante generale (9%). Ora serve fare di più, a partire dalla promozione fino alle politiche di impresa – dalla managerialità alla flessibilità – che devono essere recepite dalle istituzioni, senza cedere a chimere assistenzialiste che nuocciono fortemente allo sviluppo”».

L'attuale quadro generale – conclude l'analisi – sembra mettere in dubbio anche certezze sin qui date per assunte, come la premiumizzazione. A parte qualche nome prestigioso (Brunello e Chianti Classico, ma anche Bordeaux superiore, Pomerol e Margaux) che in generale segnano crescite, tra i classici del Vecchio Continente sembra perdere smalto il segmento luxury (oltre i 50 dollari al consumo), con i rossi italiani a -8% e quelli francesi addirittura a -16%. Difficoltà anche per i bianchi ultra-premium, tra 25 e 50 dollari: il mercato totale è a -10%, con l'Italia a -12%, la Francia a -6% e la Nuova Zelanda a -18%.

«In questi giorni cominciamo a riunire il tavolo per le regole sui dealcolati. Non ho una posizione ideologica su questo, non voglio ostacolare la crescita delle imprese – ha detto il ministro dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigidaintervenuto all'Assemblea Uiv – Ragioniamo pragmaticamente. Dobbiamo preservare la percezione della qualità del vino italiano e, in particolare sui nuovi mercati, capire come evitare il rischio di compromettere il posizionamento con prodotti dealcolati per cui la sfida della qualità non è facile».



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