Music

Bernard Butler – Good Grief


Dopo circa un quarto di secolo lontano dalla produzione da solista, Bernardo Butler è finalmente tornato sulla scena discografica con il suo terzo album, “Good Grief”. Tuttavia, una brillante riflessione – composta da nove brani – sull'amore e, soprattutto, sulla perdita. Come uno dei suoi eroi musicali – il caro vecchio Johnny MarrMaggiordomo ha trascorso la maggior parte della sua carriera in una sorta di collaborazione quasi incessante, prestando le sue idee e il suo virtuosismo alle voci e alle canzoni di altre persone e lucidandole fino a farle brillare.

Con i Pelle scamosciata ha acceso fuochi d'artificio, i cui bagliori non sono ancora del tutto svaniti dal cielo; poi c'è stata la splendida grandinata di soul-rock epico che ha creato con Davide McAlmont e la creazione di successi retrò realizzata con Duffy. Successivamente, è stata avviata la produzione dei due migliori singoli dei Libertininonchè il disco Pop glamour strepitoso realizzato insieme a Caterina Anne Davies qualche anno fa e, naturalmente, la sua splendida collaborazione con Jessie Buckleycandidata – tra le altre cose – ai Mercury Awards.

La differenza di Marrperò, Maggiordomo non si è mai sentito il suo impegno nell'intraprendere una carriera da solista. Mentre il primo ha trovato una visione adatta alle sue corde e ha prodotto una serie di discreti dischi rock, Maggiordomo ha lasciato che solo occasionalmente il suo nome diventasse l'attrazione principale. In “People Move On” del 1998 ha incollato introspezione e incertezza al tipo di epiche cinematografiche che aveva realizzato con McAlmontche ha fatto seguito a “Friends and Lovers”, solo un anno dopo, spogliandosi di alcuni dei suoi eccessi musicali e trovando un scanalatura tutti Pietre o giù di lì.

E poi sono tornate le nuove collaborazioni. La sua carriera da solista, a un certo punto, si è fermata al palco. Per 45 anni. Venticinque lunghi anni. Detto ciò, come suona, quindi, questo “Good Grief”? Beh, come l'opera matura di un artista vero. Consapevole. Con gli anni Settanta perennemente sullo sfondo e con una gran voglia di fuggire dalla musica come espressione artistica di maniera.

“Deep Emotions” e “Pretty D”, per esempio, rappresentano due facce della stessa medaglia. Piene, come sono, di autentica brillantezza sonora. Mentre in “The Forty Foot”, il Nostro si muove su delle coordinate un po' più scanzonate, ma non per questo meno efficaci. In “London Snow”, invece, vi è un fantastico assolo di chitarra blues che riesce a tagliare quasi a fette l'aria, trasportando l'ascoltatore in un microcosmo fatto di poetica intimità. Provando a tirare un po' le somme, dunque, potremmo definire la nuova creatura di Bernardo Butler come un lavoro decisamente sugli scudi. Anche se al netto di qualche (inevitabile) episodio di stanchezza e di un mood che sembra pensato apposta per i palati più fini.

Poco importante. Non sempre la buona musica ha bisogno di un grande “rumore” per arrivare al cuore di chi è pronto ad accoglierla.



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