Sport

Caldarelli: “Il mio brand? È una community sempre in tour”


Il Ceo di Antony Morato amante della musica: “Siamo quelli che abbinano il cappotto alla felpa: ci piace essere a nostro agio ovunque”




Giornalista

12 luglio – 12:32 – MILANO

La moda è un viaggio. La moda sta in un buon taglio, in un capo che ciascuno può declinare a suo modo, ma è anche parente dell'arte e della musica, dove l'improvvisazione è un valore. E improvvisare significa dire creare il proprio stile. “L'uomo Antony Morato è un uomo urbano contemporaneo che ama il dettaglio e non cerca di stupire. È uno che quando arriva in un ambiente magari non lo nota subito, ma quando va via te lo ricordi”. La vera eleganza insomma consiste nel passare inosservati, è un classico assoluto e Lello Caldarelli, direttore creativo e presidente del gruppo Antony Morato, vi si attiene anche se a modo suo. Il modo di un ragazzo nato fra gli stracci, come dice l'ironia, che da napoletano è cresciuto con l'amore per la sartoria, ma nel suo brand hanno una grande importanza anche le sue passioni: l'arte contemporanea, la musica, i viaggi. E le sue collezioni si ispirano sempre a città diverse: da Parigi a Manchester, per l'estate Giamaica, Ho Chi Minh, Lagos. “Sono un uomo curioso e il nostro non è solo un marchio, è una comunità che va oltre il prodotto. Per questo prendiamo Paesi diversi come riferimento per le collezioni”.

Le ultime scelte sono un po' straniere: l'Indonesia, la Nigeria…

“L'Indonesia è un mercato enorme, 250 milioni di persone, il 76 per cento ha meno di 25 anni. E in Nigeria c'è una classe media che si consolida nelle città, il tasso di istruzione è alto. Noi le consideriamo zone povere, ma rappresentano il futuro. Il mercato africano è un grande serbatoio per noi”.

A questo proposito, come sta il made in Italy?

“Lo scorso anno il nostro gruppo ha fatturato oltre 76 milioni, nel primo semestre di quest'anno speravamo in un incremento del 7 per cento e ci siamo fermati al 3, ma speriamo di migliorare nei prossimi mesi. Abbiamo circa duemila rivenditori, 70 negozi monomarca…”.

Ne ha fatta di strada da quando ha iniziato a produrre moda per altri…

“Ho cercato di creare qualcosa che unisse quello che mi piace al lavoro, che occupa la maggior parte delle nostre giornate”.

Come definirebbe il tuo stile?

“Facciamo di tutto, dall'abito formale ai pantaloni da jogging per uscire con il cane la domenica. In fondo siamo noti per essere quelli che abbinano il cappotto sartoriale alla felpa. Siamo trasversali, il nostro consumatore si deve sentire a suo agio in ogni occasione”.

Moda, arte, musica: e lo sport?

“Amo il mare in tutte le sue forme e sto cercando di indirizzare mio figlio alla vela, che non ho mai praticato, ma mi sembra un bel modo di vivere il mare”.

“Sono tifoso del Napoli, amo il pallone in generale anche se non ho mai giocato. In Europa simpatizzo per tutte le italiane. La sera della finale di Champions dell'Inter contro il City ho urlato come un pazzo e mio figlio mi guardava stupito: “Papà, ma tu davvero tifi Napoli?””.

Hai mai pensato di vestire una squadra?

“Ci abbiamo pensato, ma non siamo mai entrati nel mondo dello sport in maniera profonda. Forse perché ci sentivamo più vicini ad altro. Alla musica, per esempio”.

Ti piacerebbe un testimonial atleta?

“Mi piacerebbe, ma non è semplice. E poi in fondo cercare una testimonianza è come cercare qualcuno che garantisca per te. La vedo come una specie di scorciatoia”.

Meglio creare progetti per nuovi dj e produttori, insomma, come avete fatto negli ultimi tempi.

“Gliel'ho detto, non siamo soltanto un brand, abbiamo sempre voluto creare una community. E la musica, come lo sguardo su tante città che sembrano lontane, aiuta”.





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