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Toti: “La poltrona è un peso, sceglierò nei prossimi giorni per il bene della Liguria”


«È chiaro che oggi per me la poltrona del Presidente è maggiormente un peso che un onore. Forse sarebbe stato più facile, fin da subito, sbattere la porta, con indignazione, al solo sospetto… Non mi spaventa rinunciare a un ruolo a cui pure sono legato…».

Giovanni Toti prendi carta e penna e scrivi una lettera al tuo avvocato Stefano Savi. Un documento a tratti molto polemico nei confronti dei giudici del tribunale del Riesame che hanno appena confermato i domiciliari, e dei pm che hanno condotto le indagini, ma che in sostanza conferma quanto ha sempre ribadito il governatore accusato di corruzione. Che seppur in astratto non escluda l'ipotesi delle dimissioni, rivendica la scelta di non aver lasciato la presidenza della Liguria e annuncia di confrontarsi sul tema con gli alleati politici.

Toti scrive: «Vedo come una liberazione poter liberare la parola agli elettori…. ma la Presidenza non è un bene personale…Nei prossimi giorni, con il permesso dei magistrati, tornerò ad incontrarmi con gli amici del movimento politico, gli alleati… E le scelte che faremo saranno per il bene della Liguria».

Per quanto riguarda la durissima ordinanza che lo riguarda «per tranquillizzare i giudici del Riesame, che ritengono io non abbia capito il reato commesso e dunque lo possa reiterare, vorrei essere chiaro: ho capito benissimo cosa mi viene addebitato. Perché i magistrati avrebbero dovuto essermi interessati ad una pratica, pure se regolare, perché interessava ad un soggetto che aveva versato soldi al nostro movimento politico, pure se regolarmente».

«Che, per paradosso, vuol dire che se mi fossi interessato alla stessa pratica di un imprenditore che non ci ha mai sostenuto, non sarei stato corrotto. – sostiene Toti – E se l'imprenditore avesse finanziato un movimento politico di cui così poco stimava la politica e il leader, tanto da non parlargli neppure dei suoi progetti, non sarebbe stato un corrotto. Mi si perdoni, ma pur capendo, non sono d'accordo. Pur avendo confermato punto per punto ai magistrati quanto accaduto, senza nascondere nulla. E tuttavia la reiterazione di quel reato resta impossibile».

Toti si è messo in testa di rispondere agli inquirenti che lo hanno intercettato e pedinato durante l'indagine: «La legislatura è cominciata con le elezioni del 2020 in Liguria, con ampio consenso, per la seconda volta, dalla mia proposta politica, è stata fatto un reality show, all'insaputa dei partecipanti. Intercettazioni telefoniche, intercettazioni ambientali, telecamere negli uffici, pedinamenti. Nessuno è stato escluso».

E ancora: «Quattro anni delle nostre vite documentate, dal tavolo del ristorante al colore della giacca. Da tutta questa opera enciclopedica di controllo emerge un'ipotesi di realtà che ancora mi stupisce”.

“Emerge che il Comitato politico Giovanni Toti Liguria, che ha sostenuto le campagne elettorali di molti in Liguria, riceveva finanziamenti da soggetti privati ​​- continua – Soldi tracciati, regolari, iscritti dove la legge prevede, in entrata e in uscita. Raccolti in eventi pubblici, aperti alla stampa, di cui pure eravamo orgogliosi per il successo. Emerge anche che mi sono interessato ad alcune pratiche che ritenevo importanti. La dove era legittima, si è fatto. Dove non lo era, non si è fatto”.



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