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SENTENZA CHOC TERREMOTO L'AQUILA/ “Condotta incauta” dormire in casa, il senso di una ferita aperta


La sentenza emessa nella giornata di ieri da parte della Corte d'appello dell'Aquila, con la quale si conferma la pronuncia di primo grado, scagionando la Presidenza del Consiglio dei ministri dalla responsabilità per la morte di sette studenti la notte del 6 aprile 2009, quando L'Aquila fu sconvolta e distrutta dal terremoto, riaprendo una ferita mai chiusa e riporta la memoria di una settimana prima di quel tragico terremoto.

Fu proprio una settimana prima che la Commissione Grandi Rischi tenesse una conferenza stampa. Conferenza stampa in cui non venne annunciato un imminente e tragico terremoto, un mancato allarme che fu interpretato da molti come rassicurante per la popolazione aquilana, tanto da convincere molti a dormire nelle proprie abitazioni, dopo notti passate in macchina, all'addiaccio, con coperte di fortuna.

Le interpretazioni di quella conferenza stampa portarono successivamente alla condanna di Bernardo De Bernardinis, a quei tempi vice di Guido Bertolaso ai vertici della Protezione civile. Ma la condanna di De Bernardinis non è sufficiente ad accertare il nesso tra quanto immerso in quella conferenza stampa e quanto questo possa avere psicologicamente rassicurante quei ragazzi che scelsero di dormire in casa, più o meno convinti che una scossa devastante di terremoto non ci sarebbe stata . Dopo 15 anni è difficile confermare le accuse, trovare le colpe, individuare i responsabili. La prima domanda che sorge spontanea è quella in cui tutti si chiedono come erano state costruite le case della città dell'Aquila. Casi di carta, comunque non antisismici, che non hanno saputo reggere la forza devastante della natura. E se la causa principale dei crolli e quindi della morte di quei ragazzi fosse proprio il peso delle case poco sicure? Ecco quindi che guardando l'altra metà del bicchiere, tra il mezzo pieno e il mezzo vuoto, appare giusta la sentenza della Corte d'appello.

Difficile se non impossibile dare un giudizio così perentorio. È la giustizia terrena, giusta ma forse imprecisa, quella che nasce e muore nell'aula di un tribunale, ad avere fatto il suo corso. Rimanete col pensiero e col ricordo di quei giovani che si sono strappati alla felice quotidianità di un mostro così grande e cattivo che può essere un terremoto così forte.

Certamente la sentenza di ieri riporta in primo piano il dolore di tutti quei familiari che quella notte hanno perso un proprio figlio o un proprio caro. Nel dramma, questa sentenza può e deve riaprire l'animo di tutti quanti; è difficile pensare a una mamma senza il proprio figlio, sapere che non lo potrà più riabbracciare perché ha trovato la morte nella città in cui era venuto per studiare, per diventare adulto, per cambiare il mondo.

Quello che abbiamo detto è scritto più volte che la giustizia terrestre non placherà mai gli animi di chi soffre. Ma è proprio lì che chi ha vissuto l'esperienza del terremoto adesso è in grado di offrire il proprio supporto, la propria speranza, quell'amicizia che ti aiuta a superare le difficoltà e a costruire una vita con tanti vuoti, ma con tante certezze e che andare oltre le aule di un tribunale.

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