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Olimpiadi: perché gli appelli alla pace non siano solo retorica



Tra una settimana si inizierà le trentatreesime Olimpiadi dell'era moderna, in Francia, e non ci sarà alcuna tregua olimpica: si accenderà la fiaccola a Parigi, mentre 59 conflitti nel mondo accenderanno le armi. Saremo tutti incollati ed emozionati per la cerimonia, spendendo parole belle e alte su quanto lo sport sa unire i popoli, includere le diversità, spalancare i confini, rompere le barriere, eccetera.

Parole, soltanto parole. Il signor barone De Coubertin ricordava male: se ad Olimpia si fermavano le armi, questo valeva solo per gli Elleni, antico nome dei Greci. Un minuscolo pezzo di mondo in continue lotte civili, circondato da nemici. E i giochi servivano a prepararsi per la guerra, a saggiare braccia, gambe per la lotta. In tempi moderni le Olimpiadi non hanno fermato le guerre, è successo esattamente il contrario. 1916, Prima guerra mondiale. 1940, 1944, Seconda. O sono state usate per boicottare, per fare pressione, per propaganda, pensare solo alle parate hitleriane a Berlino nel '36, o alle Spartachiadi socialiste impugnate dall'Unione Sovietica per contrapporsi all'Occidente. Poco è cambiato: anche stavolta fioccheranno le polemiche, per le restrizioni imposte agli atleti russi e bielorussi. E con che cuore e spirito partecipando gli israeliani, memori del massacro a Monaco del 1970, in una Francia pervasa da un antisemitismo dilagante, che le elezioni hanno solo spostato di schieramento politico. O la piccola delegazione palestinese, senza bandiera, testimone della tragedia di Gaza.

Ho citato 59 pezzetti di mondo in guerra. Non sappiamo neppure dove collocarli sulla cartina. Ma possiamo ad esempio nominare la Siria, l'Iraq, lo Yemen, l'Etiopia, la Birmania, l'Afghanistan, il Kashmir, il Sudan, il Congo… Andrebbero citati uno ad uno alla cerimonia di apertura, per la prima volta fuori da uno stadio, lungo le rive della Senna. Andrebbero citati i dittatori che costringono troppi giovani a morire, uccidere, combattere, nascondersi, anziché gareggiare. Andrebbe esercitata un'autorevolezza di cui spesso ci gloriamo immeritatatamente, come Paesi liberi e democratici, per mediare, convincere, costringere alla pace. Le armi non sono solo quelle da fuoco, altre sono più convincenti ed efficaci.

Andrebbero evitate le vetrine da sfruttare per la politica interna (non a caso Macron ha rimandato a fare i compiti il ​​suo primo ministro e aspetta a scegliere il successore). Andrebbe evitata la retorica, che è menzognera e obnubila la realtà. Ci basti vedere gareggiare tanti sportivi eccellenti, vedere il tifo partecipe e commosso di milioni di persone, perché c'è altro dalle clip di 20 secondi sui social a stordire l'estate. L'Italia, dal canto suo, schiera per la prima volta 403 atleti che si sono distinti agli europei. In bocca al lupo a tutti.





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