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Khadim, papà afghano con il figlio malato e senza diritti


Khadim con suo figlio Samir.

di Cristina Trombetti

«Con l'arrivo dei talebani non era più possibile frequentare la scuola, la violenza era atroce e io volevo solo vivere in pace e cercare un futuro migliore: per questo sono scappato dall'Afghanistan, anche se avevo solo 13 anni». Gli occhi lunghi e lo sguardo dolce, Khadim Haidiri oggi è un giovane uomo, parla un italiano fluente e racconta di sé, della sua storia di vita così difficile che quasi ci si vergogna ad ascoltarla: «Era il 1999 quando sono scappato da Ghazni. Con i miei cugini ho raggiunto l'Iran, dove ho vissuto per due anni lavorando come marmista, fino a quando è arrivato l'11 settembre e il governo iraniano ha deciso di rimpatriare i cittadini afgani rifugiati. Non potevo accettare l'idea di un rimpatrio forzato e quindi sono scappato un'altra volta». Khadim attraversa quindi la Turchia, raggiunge l'isola di Lesbo con un gommone e, dopo alcuni tentativi di fuga e molte percosse, riesce a raggiungere l'Italia nascosta sotto un tir. «Ero ancora minorenne quando sono sceso a Basaldella, alle porte di Udine. Sono stato affidato alla Casa dell'Immacolata ma ero l'unico afgano e quindi ho dovuto imparare in fretta l'Italiano».

All'epoca non era prevista la richiesta di asilo per i minori e quindi Khadim riesce ad ottenere un permesso di soggiorno per lavoro solo quando diventa maggiorenne: «A Udine facevo il benzinaio, poi mi sono trasferito a San Giorgio di Nogaro, dove ho lavorato prima come operaio generico e poi come capo turno».

A San Giorgio Khadim trova finalmente un po' di pace, lavora sodo, acquista casa e si sposa con una sua connazionale: «Nel 2012 è nato mio figlio Samir. I primi anni sembravano che la nostra vita familiare fosse serena, Samir cresceva bene, non parlava ma il pediatra riteneva fosse per la difficoltà della doppia lingua e per il fatto che non aveva amici e fratelli con cui comunicare. Eppure – racconta Khadim – sentiva che qualcosa non andava bene: Samir era sfuggente, non ci guardava e non voleva essere toccato. Aveva degli atteggiamenti per me incomprensibili, si copriva la testa ogni volta che ci avvicinavamo a lui, mangiava in camera nascosto sotto le coperte ed era terrorizzato dai cani, lui che era sempre stato innamorato degli animali».

Il pediatra li indirizza quindi all'Ospedale Pediatrico Burlo Garofalo di Trieste, dove viene fatta la prima diagnosi di autismo: «Io ero sconvolto, eravamo ancora in macchina diretti verso casa quando mia moglie mi ha comunicato che ci avrebbe lasciato. Il giorno dopo è scomparsa».

Khadim rimane solo con il suo bambino, gli dedica ogni minuto del suo tempo e lo aiuta a recuperare la fiducia verso il mondo: «Non ho fatto nulla di straordinario, è il dovere di ogni padre e il diritto di ogni bambino». Samir viene preso in carico per un percorso di riabilitazione intensiva presso La Nostra Famiglia di Pasian di Prato: un po' alla volta impara a mangiare a tavola, a riconoscere i pericoli, non si lancia più nel vuoto e non ha più paura delle porte che sbattono. «Ha cominciato a fare le cose di tutti i bambini, uscire di casa, andare al parco, vedere il mare, giocare, andare a scuola. Dorme ancora aggrappato a me, ma è decisamente più sereno».

Nel frattempo Khadim conclude la pratica di divorzio dalla moglie e si risposa con Hakima, che Samir chiama “mamma due” e di cui si fida. Nel gennaio 2022 nasce la piccola Sara.

Nonostante le difficoltà economiche, per poter garantire sostegno alla famiglia Khadim è costretto a vendere casa ma non si è mai arreso: ha la stessa grinta e determinazione di quando era bambino e lo stesso impulso a prendersi cura di chi è in difficoltà. Oggi lavora in una nota azienda friulana, dà supporto di mediazione linguistica e culturale agli enti che si occupa di accoglienza di minori e di adulti provenienti dall'Afghanistan, partecipa a diverse iniziative di testimonianza nelle scuole e supporta i genitori del Centro di riabilitazione La Nostra Famiglia e del “Progetto Autismo Fvg”.

Ancora non è ancora riuscito ad ottenere la cittadinanza, che viene negata a lui e alla sua famiglia: «Samir è riuscito ad avere il certificato di nascita dall'ambasciata afgana mentre Sara non riesce ad avere i documenti dall'Italia e neppure dal governo afgano, perché ora non c'è un governo stabile. Non possiamo espatriare e non posso iscrivere Sara all'asilo perché non ha nessun documento di identità. Molti connazionali sono nella mia situazione, ora aspettiamo un altro bambino e sarà così anche per lui. Che cittadini sono i miei figli, italiano o afgani? Ecco, ogni tanto penso che siano cittadini di nulla».

La speranza ora è che le interlocuzioni con Questura e Prefettura di Udine, anche grazie al supporto dei collaboratori dell'Associazione La Nostra Famiglia, poter aiutare a trovare una felice conclusione per Khadim e la sua famiglia.





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