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Floridia: “Se il governo vuole dare un segnale sottragga la Rai al giogo dei partiti”


Giovanna Vitale

roma — «Ma quando mai si è visto che il capo di un governo, critico dalla Commissione europea sui rischi per la libertà d'informazione e la democrazia nel suo Paese, anziché mettersi in discussione e adottare le contromisure, scrive una lettera piccata a Ursula von der Leyen in cui nega la realtà e addossa la responsabilità a quelli che c'erano prima? Come se lei fosse di passaggio. Una postura che pecca di provincialismo e che, ancora una volta, fa male all'Italia». Non è piaciuta, alla presidente della Vigilanza, Barbara Floridia, la risposta con cui Giorgia Meloni ha rispedito al mittente le accuse contenute nel rapporto annuale sullo stato di diritto.

Lì dentro ci sono solo fake news, come dice la premier?

«Noi non abbiamo soltanto quel dossier che dà un giudizio negativo sulla Rai e denuncia le pressioni subite dai giornalisti, anche della carta stampata. Io settimane addietro fui attaccata ferocemente per aver diffuso in Vigilanza il Media Pluralism Monitor, un monitoraggio del Centro europeo per il pluralismo e la libertà dei media, che aveva evidenziato le stesse criticità. È un monitor che ci arriva da più parti. Forse, anziché far sempre la vittima, il presidente del Consiglio dovrebbe prenderne atto e dar seguito all'unica cosa giusta scritta in quella lettera».

E cioè?

«Per sostenere che sta facendo né più né meno come i predecessori, ha citato la legge Renzi che dal 2015 consente al governo di nominare i vertici di Viale Mazzini. Perciò io dico a Meloni, non nella sua veste di premier ma di capo di Fratelli d'Italia: sediamoci tutti intorno a un tavolo e riformiamo insieme la Rai. Se vuole dimostrare che ci tiene davvero al servizio pubblico, bisogna cambiare la legge, farne una condivisa, che lo liberi finalmente dai partiti».

Difficile che accettare l'invito.

«Pazienza. Io lo farò lo stesso. Alla ripresa di settembre convocherò gli Stati generali dell'informazione, chiamerò tutte le forze politiche ei massimi esperti del settore per capire come meglio strutturare la nuova governance Rai. Poi, se ci sarà qualcuno che deciderà di non partecipare, saranno i cittadini a giudicare. Non c'è più tempo da perdere: con il varo del Media Freedom Act, se non ci adeguiamo al regolamento europeo, ad agosto dell'anno prossimo rischiamo la procedura d'infrazione».

Intanto il Cda attende da due mesi il rinnovo perché la destra litiga sui posti, che spettacolo è?

«Indecente e preoccupante. A mia memoria non era mai accaduta. Qui neanche si parla di calendarizzare l'elezione dei quattro consiglieri di indicazione parlamentare. E lo stallo genera incertezza in un'azienda che invece vive di programmazione».

Cosa ti preoccupa di più?

«Questo gioco di veti, il continuo mercanteggiare sulle poltrone destabilizza la Rai e rischiare di incidere sul calo degli ascolti, la fuga di artisti e giornalisti, la qualità di trasmissioni e notiziari. Se a questo ci aggiungiamo il taglio del canone, che crea instabilità anche sulle risorse, ecco che l'indebolimento del servizio pubblico diventa un pericolo reale. Innanzitutto per la democrazia».

Perché?

«Nell'epoca della disinformazione, i cittadini hanno bisogno di un presidio serio e credibile cui affidarsi. E invece temo che possano disaffezionarsi».

Per l'Usigrai i Tg sono faziosi, diventati megafono del governo, lei condivide?

«In Vigilanza i commissari hanno presentato diversi quesiti sull'informazione nei Tg, questo la dice lunga sulle perplessità che nutriamo in tanti».



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