Ricette

Uva da tavola italiana, l’export in forte crescita minaccia il primato delle mele


Vola l'export dell'uva da tavola italiana: tra 2022 e 2023 è cresciuto del 12,8%, arrivando a sfiorare gli 821 milioni di euro, stima Ismea, nonostante i quantitativi esportati siano diminuiti del 13,5%, fermandosi a 384mila tonnellate. A sostenere il valore delle esportazioni è stato, quindi, l'aumento annuo del 30,4% dei prezzi, arrivati ​​a una media di 2,14 euro/kg. Un segnale che l'uva made in Italy riesce a farsi riconoscere e valere sui mercati esteri, dove finisce il 43% della produzione nazionale. Più di quanto assorbe se ne mangi in Italia, visto che il mercato al consumo interno “solo” il 38% della produzione totale annua, mentre un altro 15% viene venduto alle aziende di trasformazione per ricavarne succhi.

L'Italia è il terzo esportatore al mondo di uva da tavola, dietro Perù e Paesi Bassi, e l'uva è il secondo frutto, dopo le mele, per giro d'affari generato dall'export. Ma il sorpasso sembra vicino. «In poco tempo l'uva è destinata a superare gli 1,2 miliardi di euro di esportazione, perché è apprezzata e si vende bene in molti mercati», ha spiegato Mario Schiano Lo Moriello di Ismea durante l'evento Regina di Puglia organizzato dal Comune di Noicàttaro, capofila del network Terre dell'Uva che coinvolge sette Comuni del sud-est barese, il maggior bacino produttivo italiano (24% dei volumi nazionali) – Il buon potenziale produttivo e il prolungamento della disponibilità commerciale del prodotto aumenteranno i quantitativi disponibili e, a prezzi stabili, porteranno un maggior ritorno ai produttori e consentiranno di aprire nuovi mercati di sbocco, necessari per sostenere l'export».

Che l'uva da tavola italiana piaccia ai consumatori stranieri è un dato di fatto e il trend di crescita pluriennale delle esportazioni lo conferma. Ci sono mercati importanti e consolidati, come Francia, Germania e Svizzera, che continuano ad apprezzare le varietà storiche (come l'uva Italia o la Vittoria). Ma le preferenze globali vanno verso l'uva senza semi, che dalla Gran Bretagna alla Scandinavia continua a guadagnare mercato.

I produttori italiani sono in grado di soddisfare entrambe queste esigenze anche grazie a un deciso rinnovamento varietale che ha introdotto nuove tipologie di uva senza semi (o apirene, senza semi) in particolare in Puglia, dove si concentra il 57% della produzione nazionale e dove in pochi anni circa metà degli impianti storici sono stati spiantati per introdurre le nuove varietà senza semi. Si tratta della quasi totalità di uve sviluppate dai grandi allevatori internazionali ma ce n'è anche una tutta pugliese: è la Maula, una nuova varietà autoctona, precoce ea bacca nera, ottenuto da un progetto di allevamento finanziato dalla Regione Puglia e realizzato dal Crea (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l'Analisi dell'Economia Agraria) e dal Consorzio di produttori Nuvaut.

La fase di passaggio all'uva senza semi sta incidendo negativamente su resa per ettaro e produzione totale (884mila tonnellate nel 2023, ossia il 14% meno che nel 2018), ma sta aumentando il livello qualitativo e, quindi, il prezzo riconosciuto dal mercato. E sta aprendo nuovi mercati, in particolare nei paesi arabi e il Sudamerica. Ma, paradossalmente, nello scenario globale dominato dalla competizione sull'uva senza semi si stanno aprendo nuovi spazi anche per quella tradizionale con i semi, in quanto prodotto tipico italiano, “non omologato” e non globalizzato. Succede in Canada, mercato che si riaperto all'uva da tavola italiana dopo un lungo blocco fitosanitario, dove il mercato seedless è dominato dal prodotto fresco proveniente dalla vicina California ma dove c'è un'interessante domanda di uva tradizionale italiana, e pugliese in particolare.



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