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Dalla Striscia all'esilio dorato in Qatar. Ismail, un terrorista a “cinque stelle”




Ismail Haniyeh, nel 2009, rispuntava dal bunker ricavato sotto l'ospedale al Shifa di Gaza, dopo l'operazione Piombo fuso degli israeliani, cantando vittoria e alzando le dita a forma di V fra le macerie. Un'anziana palestinese, che si godeva il sole e una boccata d'aria dopo settimane chiusa in cantina a causa dei furiosi combattimenti, lo ha gelato con una frase diventata il simbolo della tragedia nella Striscia: «Ancora un paio di vittorie come questa e Gaza scompare dalla faccia della Terra». Un destino terribile che si ripete negli ultimi mesi. E adesso a venire cancellato con un probabile missile anticarro, che ha centrato la sua stanza da letto a Teheran, è stato il leader in esilio di Hamas. Forse tradito da una delle sue guardie del corpo.

Il «terrorista», come lo hanno sempre bollato gli israeliani, a cinque stelle per la vita agiata negli albergoni di Doha, la capitale del Qatar, aveva 62 anni. Haniyeh è nato a Shati, spiaggia in arabo, un campo di rifugiati in cemento a picco sulla costa mediterranea della Striscia. Suo padre era pescatore e aveva vissuto la «catastrofe» (Nakba) la cacciata dei palestinesi nel 1948 durante la prima guerra con Israele. Il giovane Haniyeh ha aderito ad Hamas nel 1987, alla fondazione del movimento, ed è diventato aiutante dello sceicco in carozzella, Ahmad Yassin, il primo leader, che verrà eliminato dagli israeliani. Ovviamente si è fatto tre anni in carcere per poi venire espulso in Libano prima di tornare a Gaza nel 1993.

Il grande salto lo ha compiuto fra il 2006 e 2007 con la vittoria elettorale di Hamas, che lo incorona primo ministro dell'Autorità nazionale palestinese fra finte dimissioni e colpi di scena. Alla fine i miliziani fondamentalisti faranno fuori brutalmente l'opposizione laica di Fatah nella Striscia di Gaza. Alla guida di Hamas è arrivato Khaled Mashaal, che oggi forse sostituirà il defunto Haniyeh. Il figlio di pescatore ha sfilato il potere a Mashaal dal 2014 fino al 2017 quando viene nominato un nuovo primo ministro a Gaza, Yahya Sinwar, lo stratega del 7 ottobre. Dal 2019 Haniyeh si auto esilia in Qatar proponendosi come pragmatico rappresentante di Hamas nel mondo soprattutto arabo e con un rapporto di riguardo con l'Iran e la Turchia del neo sultano Recep Tayyip Erdoan.

Sinwar preseva in giro Haniyeh sostenendo che «è il leader più moderato e sofisticato, ma non capisce nulla di guerra». Lo Shin Bet, il servizio di intelligence interno israeliano, lo aveva già messo nel mirino, ma proprio Bibi Netanyahu aveva impedito, fino a ieri, che veniva tirato il grilletto.

Haniyeh immagini è diventato un «morto che cammina» la mattina del 7 ottobre quando davanti alla tv al plasma nel suo esilio dorato commentava le dell'attacco stragista di Hamas. «Guarda un nuovo fuoristrada, una jeep israeliana» appena sequestrata dai terroristi, «dobbiamo prostrarci in segno di gratitudine per questa vittoria». E poi si è fatto filmare mentre guidava la preghiera di ringraziamento ad Allah.

Le foto scattate nelle suite di Doha, ospite di banchetti opulenti e a bordo di un jet executive, che farebbe invidia ad Elon Musk, cozzano con la vita sotto attacco di Gaza. E soprattutto con una delle sue famose frasi elettorali «zeit wa zaatar», che lo impegnava a vivere d'olio d'oliva ed erbe essiccate pur di cancellare l'odiato stato ebraico. Gli israeliani gli fanno fuori tre dei 13 figli e 4 nipoti nell'ultimo conflitto, ma uno degli eredi, Maaz Haniyeh, che avrebbe ottenuto pure un passaporto turco, vive nel lusso con alcol e donne gestendo il patrimonio di famiglia. A Gaza lo conosciamo come Abu Al Aqarat, il «padre del settore immobiliare» per gli appartenenti posseduti nella Striscia e all'estero.

Soprattutto a Teheran il leader in esilio ha sempre amato sfoggiare la retorica anti israeliana: «Continueremo la resistenza contro questo nemico fino a quando non avremo liberato la nostra terra, tutta la nostra terra».

Sottobanco, però, spingeva verso la tregua e lo scambio fra

ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi, ma pretendeva il ritiro immediato dell'esercito ebraico dalla Striscia. Il ruolo di mediatore, più o meno genuino, non gli è bastato per scampare alla vendetta del 7 ottobre.



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