Economia Finanza

Aziz e Maoz, la pace possibile tra israeliani e palestinesi


Andare controcorrente. Superando la perdita. E il desiderio di vendetta. La pace che comincia da ognuno di noi. Dall'atteggiamento con cui ci poniamo uno di fronte all'altro, al diverso da noi. In questo caso al nemico. I nemici in questa storia sono un palestinese e un israeliano.

Il palestinese Aziz Abu Sarah ha perso il fratello durante la prima Intifada. L'israeliano è un giovane, Maoz Inon, che ha perso entrambi i genitori il 7 ottobre nell'attacco di Hamas a Israele. I due si sono abbracciati e raccontati in diretta tv negli Stati Uniti, in un'intervista doppia ospitata nello show di Christiane Amanpour e condotta da Bianna Golodryga per la Cnn. Le parole di Aziz Abu Sarah Aziz: «Non bisogna aspettare che finisca la guerra per provare a costruire la pace. I nostri politici, e non posso chiamarli leader, non lo sono più, hanno perso l'immaginazione politica, ed è in questo momento che il nostro compito è ancora più importante: dobbiamo farlo al loro posto». Le parole di Maoz Inon: «L'assassinio dei miei genitori non deve essere vendicato con la morte di civili innocenti».

I due, entrambi imprenditori sociali e attivisti per la pace, cercano di costruire ponti e si impegnano insieme per un futuro di riconciliazione, sperando in quella pace che l'ex primo ministro israeliano Menachem Begin chiamava «inevitabile».

Il loro percorso comune è nato dopo il 7 ottobre, quando Aziz ha cercato Maoz per portargli le sue condoglianze: «Ci eravamo incontrati forse una volta, prima, perché lavoriamo per la stessa azienda, e mi è sembrato naturale cercarlo per dirgli che posso capire il suo dolore, che non è solo. Non mi aspettavo nulla ma con la mia grande sorpresa mi ha risposto, e da allora cerchiamo di parlare alla nostra gente qui, negli Stati Uniti, ea tutti quelli che hanno voglia di ascoltarci. E di quel primo dialogo ricordo sempre il momento in cui Maoz mi ha detto che non piange solo i suoi genitori ma anche i bambini morti a Gaza».

Forte e chiara arriva la risposta di Inon: «Non siamo soli, e non siamo un'eccezione. Siamo israeliani e palestinesi insieme, e sosteniamo che chiunque può mostrare un'analogica empatia, e la nostra stessa capacità di percepire il dolore altrui, vogliamo essere un modello di rapporto, e credere in un futuro in cui questo sarà sempre più possibile».



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