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Pallavolo, Velasco, le azzurre e l’elefante rosa, l’oro olimpico per un abbraccio nella storia



Bmangiata incoscienza. Beata Gioventù. Loro non sanno che cosa c'è nel gesto di Julio Velasco, che nell'istante in cui l'ultima palla degli Usa, nella finale olimpica di Parigi 2024, non risale, salta in braccio letteralmente a Lollo Bernardio, il suo terzo. Non sanno che quei due aspettavano quell'abbraccio da 28 anni. Dal 4 agosto 1996, per la precisione. Julio Velasco all'inizio del ritiro che portava alla Vnl in vista di una qualificazione olimpica alla portata raccontava a Famiglia Cristiana: «Non so quanto sanno di me e io certo non glielo vado a raccontare».

Parlava delle “sue” ragazze, dell'Italia della Pallavolo appena presa in corsa, a 72 anni. Ha fatto tutto quello che ha potuto per non caricare sulle spalle della squadra il peso che tutto il mondo da 28 anni sapeva sulle sue. Da quando il 4 agosto 1996, al quinto set, sul 16-15 per l'Olanda già battuta al girone, il capitano Andrea Giani (qui oro al maschile da Ct della Francia), sfiorò l'antenna con l'ultima schiacciata, quando i set finivano a 15 nella finale olimpica di Atlanta 1996.

Finiva sul 17-15 per l'Olanda il sogno olimpico della squadra dei Fenomeni la nazionale che tra gli Ottanta e Novanta passò alla storia della pallavolo per aver dominato il mondo in tutto tranne che nei cinque cerchi, cui la pallavolo azzurra gira attorno da allora , mancando sempre il bersaglio, sempre di poco.

Su quella panchina quel 4 agosto c'era un signore di nome Julio Velasco, che da ventotto anni si sente ricordare quel giorno a ogni partita che Dio manda in terra, come se non fosse passato mai: da allora è il suo elefante rosa, parcheggiato a bordo campo. Lo vede solo lui, che fa di tutto per non pensarci, ma tutti sanno che c'è.

Dietro la linea laterale Velasco guarda la finale femminile Italia -Usa, per tutto il tempo come una sfinge, salvo un attimo di esultanza latina a metà del secondo set, tiene a bada i nervi perché le ragazze della squadra tengano a bada i loro, come Devono fare i maestri.

E le ragazze lo fanno: scendono in campo per una finale olimpica, la prima della loro breve storia, facendola sembrare una partita qualunque: concentrate, sicure, solide, non mollano una palla, né in attacco, né in difesa. Egonu, Antropova, Silla, De Gennaro, Danesi, Fahr, Bosetti, Orro, Cambi, giocano come se fossero una cosa sola. Se non lo erano quando Velasco si è seduto su quella panchina lo sono diventate. E hanno servito al loro maestro la partita perfetta. Migliore forse di come l'aveva sognata fin qui. Adesso finalmente si può respirare, commuoversi, saltare, cantare e mandare finalmente a casa l'elefante rosa, perché oggi si è dissolto come una bolla di sapone, sostituito da una concretissima medaglia d'oro olimpica.





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