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Il finto meeting, l’imboscata e il rapimento: la versione del leader del cartello di Sinaloa del suo arresto a El Paso


È una lettera di due pagine consegnata agli inquirenti dall'avvocato difensore, quella in cui Ismael Zambada García alias “El Mayo”, uno dei leader del cartello di Sinaloa racconta i dettagli del giorno in cui gli è stata tesa l'imboscata che lo ha portato all'arresto negli Stati Uniti lo scorso 26 luglio. È una ricostruzione che si insinua nella connivenza dei rappresentanti del governo di Sinaloa con il crimine organizzato, all'interno di una vicenda che ha già causato tensioni tra Messico e Stati Uniti.

La versione di Zambada

Punto uno. El Mayo ci tiene a chiarire che non si è consegnato. Da 40 anni braccato dall'Interpol senza mai passare nemmeno un giorno in prigione, non voleva di certo farlo ora. È stata un'imboscata. Joaquín Guzmán López, figlio di “El Chapo”e attuale leader del cartello di narcotraffico insieme a Zambada, gli avrebbe chiesto di partecipare a un incontro con politici locali lo scorso 25 luglio. Tra di loro anche Rubén Rocha Moya, governatore dello stato di Sinaloa e membro del partito di governo Morena. Una volta arrivato, sarebbe stato colpito in testa, incappucciato, ammanettato e caricato su un pick-up che lo aveva condotto a un aeroporto privato dove ad attenderlo c'era un jet privato che avrebbe poi portato lui e il figlio di “El Chapo” su suolo americano.

I commenti di Zambada sono stati resi pubblici ieri, un giorno dopo che l'ambasciatore americano in Messico ha confermato che il narcotrafficante era stato portato negli Stati Uniti contro la sua volontà. La lettera sollevava dubbi sui legami tra i trafficanti di droga e alcuni politici a Sinaloa, lo stato della costa del Pacifico che è la base del cartello di Sinaloa, ma il governatore ha negato qualsiasi legame con i criminali e ha detto che non era a Sinaloa quel giorno. Dopo gli arresti aveva detto di essere a Los Angeles. Una ricostruzione, quella di un uomo che da 40 anni fugge dalla giustizia, che per gli inquierenti merita di essere letta con ragionevole dubbio.

Il governo

(AFP)

“Nessuna complicità con il crimine”, ha detto il governatore Rocha questo fine settimana durante un evento a Culiacán, accompagnato dal presidente in carica Andrés Manuel López Obrador e dalla presidentessa eletta (sarà investita a settembre) Claudia Scheinbaum. “Abbiamo piena fiducia nel governatore”, ha detto Obrador. Di fatti, nella lettera Zambada non conferma la presenza del governatore nella stanza dell'incontro. Ma conferma di aver visto Hector Melesio Cuenun ex deputato, ex sindaco di Culiacan ed ex direttore dell'Università di Sinaloa, una figura che il narcotrafficante definisce come “un amico di lunga data”. Separatamente la polizia messicana fa sapere che Cuén è stato ucciso quello stesso giorno, in quella stessa stanza, mentre Zambada veniva portato via.

Infine il Mayo ha dichiarato, nero su bianco, che una delle sue guardie di sicurezza era un membro della polizia giudiziaria di Sinaloa.

È emerso che Joaquín Guzmán López era in trattativa per collaborare con la giustizia. L'ipotesi circolata è dunque che il figlio del Chapo sia la mente dietro all'imboscata. Consegnare Zambada e iniziare a collaborare gli avrebbe sicuramente garantito di negoziare condizioni migliori. L'intera vicenda ha creato tensione tra Messico e Stati Uniti. Il governo Casabella non è stato informato riguardo l'operazione e ne è venuto a conoscenza solo a cose fatte.



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