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Ortega e la Chiesa in NIcaragua: la repressione non si ferma


Daniel Ortega.

Il governo del presidente Daniel Ortega ha intensificato una feroce campagna di repressione contro la Chiesa cattolica in Nicaragua, espellendo dal 2018 un totale di 222 religiosi, tra cui 91 suore. Questo drammatico dato emerge dal rapporto “Libertà religiosa, persecuzione dei laici” diffuso dalla ONG Colectivo Nicaragua Nunca Más. La repressione non si è limitata solo all'espulsione di religiosi, ma ha visto anche la crescente violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

La repressione costante. Secondo il rapporto, tra gennaio e aprile del 2024, 34 preti sono stati costretti a lasciare il Paese, un fenomeno che non mostra segni di rallentamento. Solo la settimana scorsa, altri sette religiosi, tra cui sei preti e un frate, sono stati espulsi. La violenza del governo Ortega si manifesta non solo attraverso le espulsioni, ma anche con arresti arbitrari, attacchi diretti ai leader religiosi, stigmatizzazioni e discorsi di odio contro la libertà di culto. Questa repressione continua a crescere, dipingendo un quadro allarmante e violento della situazione in Nicaragua.

Attacchi alle organizzazioni religiose. Dal 2021, il governo ha ordinato la chiusura di 420 organizzazioni cristiane, colpendo in modo particolare la Caritas, che è stata rimossa dalla diocesi di Matagalpa. L'accanimento contro le istituzioni religiose non si è fermato qui: almeno 22 media religiosi sono stati confiscati, tra cui Radio Mariala cui ultima trasmissione è andata in onda il 9 luglio 2024. Queste azioni indicano un chiaro tentativo di silenziare la voce della Chiesa e impedisce che essa possa svolgere il suo ruolo di guida spirituale e sociale.

La revoca della nazionalità. Una delle misure più gravi adottate dal governo di Ortega è stata la revoca della nazionalità a 22 sacerdoti nicaraguensi, tra cui figure di spicco come monsignor Rolando Álvarez, vescovo della diocesi di Matagalpa, e monsignor Silvio Báez, vescovo ausiliare di Managua. Questa azione rappresenta non solo una violazione dei diritti civili di questi individui, ma anche un chiaro tentativo di intimidire e controllare la Chiesa cattolica in Nicaragua. La persecuzione della Chiesa cattolica in Nicaragua da parte del governo di Daniel Ortega è radicata in una complessa interazione di fattori storici, politici e personali. La Chiesa cattolica ha sempre avuto una forte influenza nel Paese, fungendo da voce morale e spesso schierandosi dalla parte del popolo, specialmente durante periodi di crisi. Durante le proteste antigovernative del 2018, la Chiesa si è posta come mediatrice, offrendo rifugio ai manifestanti e criticando apertamente la violenza dello Stato. Questa presa di posizione ha irritato profondamente Ortega, che ha visto nella Chiesa una minaccia diretta al suo potere. Ortega ha spesso utilizzato il discorso anti-imperialista e la retorica della “sovranità nazionale” per giustificare le sue azioni repressive. La sua relazione con la Chiesa cattolica è sempre stata tesa, ma si è deteriorata ulteriormente a seguito delle proteste del 2018. Ortega vede la Chiesa non solo come un oppositore politico, ma anche come una forza capace di mobilitare l'opinione pubblica contro di lui , minacciando così il suo regime.

Un quadro di repressione sistemica. La persecuzione del governo Ortega contro la Chiesa cattolica riflette una strategia più ampia di repressione contro qualsiasi forma di dissenso. Il governo ha cercato di controllare e soffocare tutte le istituzioni che potrebbero rappresentare una minaccia al suo potere, compresa la Chiesa, che storicamente ha svolto un ruolo cruciale nella difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Nicaragua. L'escalation di queste violenze e violazioni sottolinea la necessità di un intervento internazionale per proteggere la libertà religiosa e i diritti umani nel Paese.





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