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L’oppositore di Putin che interpella le coscienze credenti



Cari amici lettori, leggiamo e ascoltiamo notizie a un ritmo continuo e il tempo rischiando di fagocitare vicende e personaggi che invece vanno oltre il loro tempo. Esattamente sei mesi fa, lo scorso 16 febbraio, moriva in una prigione russa vicino al circolo polare Aleksej Navalny (1976-2024), il dissidente divenuto il più fiero oppositore di Putin, padre della Fondazione anti-corruzione (FBK).

Un tassello che nel frattempo è emerso sempre più nitido, come ha documentato il quotidiano francese La Croce, è il fatto che Navalny fosse un cristiano ortodosso, «un credente post-sovietico tipico», come lui stesso si è descritto: prima «ateo talmente arrabbiato che sarei stato pronto a strappare la barba a qualunque prete». Battezzato in segreto dalla nonna, come tanti della sua generazione, ha ritrovato pian piano la via della fede. Non la esibiva in pubblico, ma gli indizi c'erano e, in talune occasioni, anche parolese coraggiose. Come quelle durante il processo del 2021 che lo portò poi alla condanna nella colonia penale, in cui rispose al giudice: «Non so più di cosa parlarvi, Vostro onore. Se volete, posso parlarvi di Dio e della salvezza». Una vera provocazione.

In quello stesso processo, visto da tutto il mondo, aveva rivelato come le parole della Bibbia fossero la guida della sua vita: «Ci sono meno dilemmi nella mia vita perché c'è un libro nel quale, in genere, c'è scritto più o meno chiaramente quello che bisogna fare in ogni situazione. Non è sempre facile seguire questo libro, ma il mio sforzo di farlo». A guidarlo in particolare era un versetto delle beatitudini: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Matteo 5,6), a proposito del quale ha dichiarato: «Ho sempre pensato che questo comandamento particolare fosse più o meno un'istruzione per il mio impegno di vita».

Lo scrittore russo Boris Akunin ha raccontato che Navalny, il suo intimo amico, considerava l'essere sopravvissuto al tentativo di avvelenamento nel 2021 come un miracolo e che in qualche modo, dopo, sentiva come se la sua vita non gli appartenesse più. Per questa era rientrato in Russia, pur consapevole del rischio. Pochi giorni prima della morte, Navalny aveva confidato in una lettera: «Sono ormai tre anni che rispondono sempre alla stessa domanda: “Perché sei ritornato [in Russia]? Non c'è un segreto né un pianoforte. Amo il mio Paese e le mie convinzioni. Se le tue convinzioni valgono qualcosa, devi essere pronto a difenderle, ad accettare dei sacrifici». Il suo impegno politico rivelava così una fortissima carica etica.

Della sua fede Navalny aveva confidato ancora ad Akunin: «Non penso di poter fare della mia fede religiosa una “briscola” politica – sarebbe semplicemente ridicolo. Non faccio pubblicità alla mia fede e neppure la nascondo. Semplicemente è lì, ecco tutto».

Questa figura di grande statura morale ci stimola anche a chiederci come traduciamo la nostra fede cristiana in scelte concrete ea pensare quali passi possiamo fare in questo “anno spirituale” che ci sta davanti, per diventare più autenticamente cristiani. Perché «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio» (Matteo 7,21). È Vangelo.





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