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Per il ritorno in Italia Alain Ducasse sceglie il fascino di Napoli


Sarà il boom della vicina Costiera Amalfitana, sarà l'autenticità tangibile di chi ci abita, ma anche l'allegria e il buon gusto innato, fatto è che Napoli sta vivendo un momento di gloria, tra apertura di grand hotel (nel 2026 il gruppo Marriott inaugurerà un mercoledì 2027 il cinquecentesco Palazzo Caravita di Sirignano (diventerà albergo Rocco Forte), rinnovi e grandi annunci. Uno su tutti, il ristorante di Alain Ducasse, che torna in Italia con un progetto di alta cucina in collaborazione con l'Hotel Romeo, il cinque stelle davanti al porto progettato da Kenzo Tange.

In realtà l'accordo tra Ducasse e l'imprenditore Alfredo Romeo, proprietario dell'insegna, doveva iniziare a prendere forma a Roma. Chef e albergatore si erano incontrati per parlare di cucina, ospitalità e cuochi, ma anche di Fellini e Mastroianni, «che – parole di Romeo – hanno inventato il cinema più poetico del mondo». Così, davanti a un Negroni (il cocktail preferito di Ducasse) era nata l'idea di un ristorante franco-italiano per il nuovo Hotel Romeo in via di Ripetta, in un'ex biblioteca del Seicento i cui interni sono stati rivisitati da Zaha Hadid . La sua apertura è slittata a causa dei reperti archeologici emersi durante i lavori, e il progetto è dunque partito prima a Napoli, mentre il gruppo prepara anche la prossima apertura a Massa Lubrense.

Da sinistra, l'executive chef Alessandro Lucassino e Alain Ducasse

Ducasse è un fine pensatore, un abile imprenditore e un grande innovatore. Pioniere della cucina naturale e vegetale già vent'anni fa, ha elaborato per il ristorante un menù a base di prodotti campani di mare e di terra, a cui si limita ad aggiungere il tocco dell'alta cucina francese, qui affidata ad Alessandro Lucassino, un giovane toscano che lavora con lui da più di dieci anni, prima a L'Andana in Toscana, poi a Parigi e Monte-Carlo.

«Faremo una cucina italo-franco-mediterranea», spiega Ducasse. Ma nel menù non è contemplata la pasta, perché non vuole competere con i piatti della mamma che hanno innanzitutto valore affettivo. Stessa sorte per la pizza: perché confrontarsi con un monumento dell'identità partenopea, da cui riconoscere di avere tantissimo da imparare? Ci sarà invece il foie gras inserito in un raviolo, altro emblema della nostra gastronomia, e il granchio blu, che infesta le acque del Mediterraneo ma diventa buono e sostenibile nelle mani di bravi cuochi. Anche se nel sentire comune circola un po' di stanchezza nei confronti dell'alta cucina, è innegabile quanti progressi abbia portato alla ristorazione e al palato dei commensali, ora più sensibile alla qualità degli ingredienti e alle tecniche, oltre che alla fantasia degli chef.

Filetto di triglia con Tapenade, Zucchine e Fiori

Per Ducasse l'alta gastronomia è un volano per l'evoluzione del gusto, ma anche per la crescita economica, ei cosiddetti buongustai sono «gli apostoli» di questo sistema. A sua detta, la loro passione per il cibo li ha spinti a esplorare il mondo alla ricerca di prelibatezze e, grazie a loro, l'alta cucina, nata in Francia e poi sviluppata in Italia e Spagna, ha rotto i confini per spingersi anche dove non c'è ricchezza di materie prime, con risultati sorprendenti. «Sono gli uomini e le donne che fanno un territorio», dice lo chef che, pur non cucinando più da diversi anni, vanta il più alto numero di stelle al mondo (21).



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