Economia Finanza

Codici e crittografia “end to end”. Telegram garantisce segretezza (ma i server conservano le chat)




Quasi un miliardo di utenti attivi che si scambiano messaggi e consultano le chat ogni mese, circa 100mila al giorno solo nell'ultimo anno. Una crescita esponenziale dal 14 agosto 2013, anno in cui la piattaforma è stata lanciata. Stiamo parlando di Telegram, il social di messaggistica e non solo che in undici anni si è insinuato nei nostri smartphone andando a insidiare anche il primato raggiunto da WhatsApp (che però conta quasi 2,8 miliardi di utenti attivi), soprattutto dopo le polemiche nel 2021 sui termini di servizio che avrebbe permesso alla società di Zuckerberg di spiare le chat e profilare gli utenti. Ora le sorti della società sono in bilico a causa dell'arresto in Francia di Pavel Durov, che l'ha fondata insieme al fratello Nikolai. Nel mirino della giustizia è finita proprio la piattaforma, accusata di agevolare reati come frodi, pedofilia, traffico di droga, promozione del terrorismo. Del resto da sempre Telegram si vanta dei propri livelli di sicurezza e privacy attraverso l'anonimato degli utenti, un sistema di crittografia avanzato e la possibilità di avviare chat segrete e inviare messaggi che si «autodistruggono».

Un baluardo di libertà anche per giornalisti, perseguitati e figure «scomode», sostengono gli sviluppatori. Un rifugio per criminali, terroristi e truffatori per i detrattori. Di certo negli anni è diventato il posto dove sguazza la pirateria dai libri alle serie tv, passando per lo streaming illegale di programmi ed eventi sportivi e si ritrovano organizzazioni di vario genere, dai complottisti (come dimenticare i No Pass) ai trafficanti di uomini. Il funzionamento per l'utente è semplice. L'interfaccia è quella classica delle app di messaggistica come WhatsApp, appunto -. Ma a differenza della piattaforma di Meta, è possibile iscriversi e farsi trovare solo con la username e non con un numero di telefono. Inoltre è diffuso l'utilizzo di «bot», utenti automatici non riconducibili a persone fisiche. E se questo non bastasse, da sempre l'azienda garantisce l'assoluta segretezza di tutto ciò che passa per i suoi server grazie a un protocollo proprietario che permetterebbe di crittografare ogni dato.

In realtà non è proprio così: a differenza di WhatsApp (ad esempio), per avere questo livello di sicurezza bisogna essere un po' più competenti e sapere che solo le chat segrete hanno davvero la cosiddetta crittografia end to end, un «codice» presente solo sul dispositivo del mittente e quello del destinatario per decifrare i contenuti. Lo spiega candidamente la stessa Telegram nelle sue linee guida. Tutto il resto, quindi, finisce sui server dell'azienda. Ed è vero che eventuali hacker difficilmente possono accedere ai contenuti delle conversazioni. Ma non che l'azienda non possa leggere le conversazioni.

Resta il fatto che negli anni l'app si è conquistata la fama di essere la più sicura e «privata» sul mercato. E di certo lo è per gli utenti più smaliziati, quelli che sanno come sfruttare le impostazioni per non essere rintracciati. Attraverso le conversazioni uno a uno, certo. Ma anche con canali e gruppi privati ​​con i quali diffondere materiale piratato, vendere armi, droga o documenti falsi (e magari truffare chi prova ad acquistarli). Oppure fare propaganda. Poco può fare per il momento la polizia postale.

Le notizie della chiusura di canali illegali sono ormai quotidiane. Ma identificare chi si cela dietro gli account resta difficilissimo. E Telegram non sembra voler collaborare, trincerandosi dietro un «Rispettiamo le leggi Ue».



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