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Chi è Ambra Sabatini, la portabandiera dei Paralimpiadi


Ancora non aveva toccato il traguardo che già Ambra Sabatini piangeva di gioia a Tokyo, dove a 19 anni ha conquistato l'oro nei 100 metri alla sua prima Paralimpiade, battendo il suo stesso record mondiale. Un'impresa resa ancora più storica dalle altre due azzurre, Martina Caironi e Monica Contrafatto, per un podio tutto italiano, l'unico andato interamente a un unico Paese in tutta la manifestazione. La giovane, che vive a Porto Ercole (ma è nata a Livorno), si allena solo da un anno, dopo aver perso una gamba in un incidente in scooter nel 2017; ma già prima dell'amputazione praticava atletica leggera, nel mezzo fondo però. Ad attenderla al suo ritorno dal Giappone, una grande festa a Porto Ercole. «È stata una bellissima sorpresa, c'era tutto il paese, Max Giusti e Novella Calligaris come ospiti, e poi il governatore della Toscana Eugenio Giani, il sindaco Franco Borghini, l'assessore regionale Lorenzo Marras. Mi sono sentita tanto amata», racconta la campionessa.

Ambra, puntavi alla vittoria?

«Sì, dopo il record del mondo ottenuto al meeting internazionale di Dubai».

Che cosa hai provato quando hai lanciato quell'urlo liberatorio? «Mi sono esaltata quando ho visto che anche le mie compagne avevano conquistato l'argento e il bronzo. Desideravo tanto quel podio tricolore. E poi ho ripensato ai duri anni trascorsi, ai tanti sacri–ci fatti. Per gli allenamenti ho dovuto rinunciare a vedere gli amici, a un'estate al mare, che qui a Porto Ercole è sacra».

Monica Contrafatto ha 21 anni più di te, ma insieme avete condiviso un fantastico podio. Che rapporto avete?

«Prima delle Paralimpiadi l'avevo vista solo a qualche gara, ma a Tokyo abbiamo condiviso l'alloggio e ci siamo ritrovate a parlare di tante cose. Già mi mancano le mie due straordinarie compagne. Ci ritroveremo come ospiti di trasmissioni televisive e per la cerimonia al Quirinale. Con Martina anche a una gara delle Fiamme gialle di cui entrambe facciamo parte».

Hai una nanziera quindi? «Per il momento faccio parte solo del gruppo sportivo delle Fiamme gialle, ma dal prossimo anno anche gli atleti paralimpici entreranno a far parte del corpo a tutti gli effetti».

Prima di Tokyo c'è stata la maturità. E ora? «Mi sono diplomata all'Istituto commerciale informatico con il voto di 93. Sono riuscita a frequentare normalmente a parte qualche assenza per le gare, anche se dovevo andare ad allenarmi a Grosseto perché a Porto Ercole non c'è una pista. Ora voglio prendermi un anno sabbatico, dedicarmi alle gare e imparare bene l'inglese. Ma non rinuncio al progetto di fare l'università».

Che ruolo ha avuto la tua famiglia nella tua avventura? «Loro ci sono sempre, e quando vado in ansia per una gara mi devono sopportare! E poi c'è il mio ragazzo, Alessandro. Tra noi, anche se lui ha due anni meno di me, c'era già una bella amicizia nata sulle piste, lui pure fa atletica. Poi quando ero in ospedale mi è stato vicino e la scorsa estate abbiamo lavorato entrambi in un campus estivo per bambini, io ho il brevetto da bagnino. Ci siamo innamorati e va tutto benissimo tra noi».

Quando ti sei ritrovata senza una gamba non hai esitato a tornare sulle piste.

«Lo sport era l'unico punto di riferimento mentre intorno a me tutto era cambiato. Lo sport non ha barriere né fa discriminazioni, basta che corri veloce. E ho trovato la forza per accettare la mia nuova condizione dentro di me e nei miei obiettivi».

Prossimi spostamenti sportivi?

«Scendere sotto i 14 secondi nei 100, imparare a partire dai blocchi, cimentarmi nel salto in lungo. E spero che venga anche inserita la specialità dei 200 metri piani».

Sulla base della tua esperienza, credi che l'Italia sia un Paese a misura di persone con disabilità?

«C'è ancora molto da fare: per esempio nelle spiagge non ci sono le pedane per le carrozzine, troppe volte i parcheggi per disabili sono occupati da persone che non ne hanno il diritto. E spero che i successi delle Paralimpiadi aiutino a sensibilizzare le persone e le istituzioni sul tema delle barriere architettoniche».





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